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Il voto della paura sul domani egiziano

Mentre Sabbahi, terzo con 4.820.000 preferenze e fuori dal ballottaggio, grida all’imbroglio accusando il Ministero dell’Interno di aver “orientato” 900.000 preferenze su Shafiq e minaccia un ricorso alla Commissione Elettorale Suprema, l’apparato politico della Fratellanza Musulmana ha lanciato un appello ai candidati esclusi “L’Egitto e la rivoluzione sono in pericolo: aiutateli”. L’aiuto dovrebbe prevedere l’appoggio a Mursi presentato quale ultimo “baluardo” al ripristino dello stato di polizia e al totale tradimento degli ideali della rivolta anti Mubarak. In un Paese palesemente spaccato Sabbahi, Fotouh, Moussa, che contano su un patrimonio di quasi 11 milioni di voti non sembrano però propensi a raccogliere l’invito.

I conservatori, nella versione islamica della componente maggioritaria della Fratellanza e in quella laico-mubarakiana, sono decisamente più numerosi degli innovatori, dove il nasseriano Sabbahi condanna l’operato delle Forze Armate ma non ne rinnega il ruolo centrale per l’oggi e
il domani. L’Egitto contestatore, più presente nei grandi centri, non è solo giovanile. Conta ceti dipendenti (lavoratori di quei servizi non controllati dall’esercito), professionali (avvocati, medici), operai (zona di Suez) ma nel computo complessivo resta minoritario.
Mentre i tanti lavoratori di un settore fortemente in crisi come quello turistico, da sempre atomizzati, poco politicizzati, succubi ai ricatti di multinazionali o padroncini, pensano a sbarcare il lunario votando per lo Shafiq che con la stabilità promette ripresa. Una delle sue parole d’ordine che ha riscosso maggior consenso è stata: ritorno alla normalità che significa linea securitaria su tutto il fronte. Il “ripescato” ha goduto dell’occhio benevolo della lobby militare da cui proviene e del sostegno dell’apparato del National Democratic Party, la formazione del raìs disciolta ma sempre attiva dietro le quinte. Lui ha centrato meglio di chiunque altro la campagna elettorale con pochi, efficaci punti. Quello del bisogno d’una vita tranquilla dopo sedici mesi di turbolenze è stato il primo asso, cui è seguito il freno alla “deriva” islamista che nel testa a testa finale con Mursi può calamitare ogni consenso contrario all’avanzata della Fratellanza. Non solo quello della componente cristiana che ha già convogliato il voto sull’ex generale, ma degli stessi contestatori di Mubarak convinti che un sostegno all’esponente della Confraternita minaccerebbe la vera libertà. Sarà dunque il voto della paura a portare indietro l’Egitto?
Il tracollo dell’arcinoto Amr Moussa offre spunti per ulteriori riflessioni. Fino a una settimana dalla consultazione taluni exit poll l’accreditavano del 30% dei consensi, lo spoglio gliene ha concessi il 10.9%. Il già segretario della Lega Araba ha pagato il distacco dal Paese reale che chiede soluzioni per problemi primari. I suoi slogan su “anticorruzione e sostegno dei diritti” sono stati sopravanzati dal populistico “pane e sicurezza” dello scaltro Shafiq.
Moussa è scivolato su un terreno che avrebbe dovuto essergli congeniale, il duello televisivo con Abol Fotouh, vero evento politico e mediatico per un Egitto che mai ne aveva conosciuti di simili, è diventato un pesante boomerang. In ogni ahwa dotato di tivù gli uomini, aspirando il vapore dei narghilè o il fumo d’un tabacco strappatonsille, trovavano l’ex ministro eccessivamente snob,
lontano dai loro pensieri e dal comune sentire. In più si mostrava saccente e irrispettoso verso l’avversario, una strafottenza che non gli è stata perdonata. Il confronto è diventato la tomba del navigato diplomatico che ha perso una grande occasione per rientrare ai vertici del potere. Negli intrecci delle ultime alleanze per il voto finale potrebbero riaprirsi per lui solo spiragli subalterni e l’ipotesi di qualche incarico minore. E’ più probabile un’uscita dalla scena pubblica seguendo le orme di El Baradei. Quindi vedremo se nell’ultimo rush i duellanti prenderanno per le corna il toro del rilancio economico, questo sì un tema che riguarda 85 milioni di persone.
Con una disoccupazione che oscilla attorno al 20% (oltre 4 milioni di giovani fra i 16 e 29 anni) la nazione necessita di riorganizzare l’inefficiente settore pubblico che si regge sull’elefantiaco e lobbistico apparato delle Forze Armate. Queste controllano, tanto per fare un esempio, aziende di
costruzione e manutenzione stradale, canali di scolo e d’irrigazione, fogne, che assieme a depuratori e presidi sanitari dovrebbero vedere uno sviluppo secondo criteri efficienti e tecnologicamente avanzati. Già le elezioni politiche ponevano drammaticamente la domanda, i due partiti usciti vincitori (Libertà e Giustizia e Al-Nour) avevano impostato la campagna elettorale su tali tematiche poi tutto s’è fermato. Si voleva anche dare fiato all’iniziativa privata sostenendo micro iniziative, distribuendo aiuti a progetti di piccoli imprenditori, la Banca Mondiale aveva promesso finanziamenti ma il quadro politico ancora incerto fa ruotare le scelte su nomi e promesse più che sui fatti. E’ vero che il Parlamento è quasi esautorato dal ruolo legislativo, ma è anche vero che alcune norme attese per combattere intrecci e intrighi politico-economici tardano ad arrivare. I deputati parlano ma non toccano il conflitto d’interessi. Sarà che ne dovrebbero rispondere, accanto ai generali, i tycoon di tutti gli schieramenti come ci ricordano le storie del laico Shafiq, dell’islamista Al-Shater, del copto Sawiris.   

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