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Libano. La Cina sulla porta, mentre l’Occidente è in crisi

L’abisso della crisi economica del Libano continua sotto le incessanti pressioni delle sanzioni alla Siria, che lo colpiscono in maniera pesantissima, e delle minacce aperte da parte degli USA che, per bocca dell’ambasciatrice, nei giorni scorsi hanno apertamente intimato il governo a farsi da parte in quanto filo-Hezbollah.

Da parte sua, il “Partito di Dio” ha risposto animando una serie di manifestazioni popolari assieme al Partito Comunista Libanese, che hanno costretto l’Ambasciata nordamericana stessa a rinunciare a tenere un ricordo pubblico dei marines uccisi in un attacco dell’ottobre 1983 per mano della Resistenza, durante la guerra civile.

Tornando alle sanzioni, la prossima vittima è altamente simbolica e rappresenta plasticamente la fine delle velleità yankee di espandere il proprio “soft power” in giro per il mondo: il Presidente dell’Università Americana di Beirut (AUB), infatti, ha annunciato che, a causa della crisi economica, ci dovrà essere un ridimensionamento del personale pari al 25%. Fondata nel 1866, l’AUB è stato il primissimo tentativo di portare l’istruzione made in USA nel mondo arabo e da 154 anni forma le elites filo-americane in Medio-Oriente. Non vi è bisogno di aggiungere altro.

Oltre a questo fatto emblematico, però, la determinazione a procedere a carro armato con le sanzioni potrebbe provocare un danno politico molto più pesante agli interessi USA nell’area: il governo libanese, infatti, sarebbe in trattativa con la Cina per chiudere un accordo economico di vasta portata nell’ambito del progetto della Via della Seta.

Finora, di concreto c’è soltanto un accordo per l’apertura reciproca di centri culturali stipulato a fine maggio. Tuttavia, nel frattempo, i rappresentanti libanesi hanno cominciato i colloqui con il Fondo Monetario Internazionale per ottenere un prestito multimiliardario, via prioritaria per uscire dalla crisi di liquidità tracciata dal Primo Ministro Hassan Diab e dagli altri “tecnici” del governo, provenienti proprio dall’AUB. E il risultato di tali trattative non pare positivo, date le solite condizioni draconiane chieste in cambio.

Ciò sta dando adito all’altra “anima” dell’esecutivo del paese dei cedri, ovvero Hezbollah, a spingere per percorrere l’alternativa cinese, la quale, nonostante non vi siano conferme ufficiali da parte di ufficiali del Celeste Impero, pare essere concreta. A sbilanciarsi in maniera netta in tal senso, infatti, è un personaggio che, come tutto il mondo sa (e in special modo i suoi nemici), fa sempre seguire alle parole i fatti, ovvero il Segretario Generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah.

Nei suoi consueti discorsi televisivi, infatti, pur precisando di non opporsi ad un buon accordo con il Fondo Monetario Internazionale, Nasrallah sta enfatizzando il fatto che le alternative all’imperialismo USA esistono e sono percorribili e il 17 giugno si è spinto a dettagliare i termini di un possibile accordo con la Cina: le compagnie cinesi, infatti, sarebbero interessate ad entrare nella gestione del porto di Tripoli, a ricostruire una linea ferroviaria costiera dal nord al sud del paese, che dovrebbe, poi, arrivare in Siria per aiutarne la ricostruzione e a rimettere in sesto il precarissimo sistema di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, peraltro fornita in gran parte dalle centrali siriane, che potrebbero spegnersi presto sotto la pressione del Caesar Act.

In pratica si interverrebbe a risolvere alcuni problemi strutturali del Libano e anche della Siria.

Le compagnie cinesi sono pronte a immettere denaro nel paese. Se ciò accadesse, porterebbero denaro, investimenti, opportunità di lavoro, trasporti e così via”, ha affermato enfaticamente Nasrallah, rimarcando che le condizioni proposte dal FMI sono nettamente peggiori.

Un esito generale, che, per altro, sarebbe del tutto in linea con la politica di investimenti in infrastrutture operata dalla potenza asiatica in altri continenti, Africa in primis, segnerebbe l’ingresso deciso della Cina sul palcoscenico mediorientale, sul quale fino ad ora la sua presenza è stata più di secondo piano rispetto anche al protagonismo russo.

Se, dunque, accanto all’aiuto militare russo, per il cosiddetto Asse di Resistenza (Hezbollah, Siria, Iran e fazioni palestinesi da essi sostenute) dovesse aggiungersi l’aiuto economico cinese, i rapporti di forza nell’area potrebbero modificarsi e, di conseguenza, anche i piani annessionistici del regime sionista (che non a caso ha fretta ad inglobarsi il 30% della Valle della Cisgiordania) e quelli espansionistici delle petromonarchie del Golfo subirebbero uno stop deciso.

La Cina, dunque, in punta di piedi, come di consueto, sta arrivando a contrastare i piani imperialisti, nel nome del principio della cooperazione “win-win” con le altre nazioni, anche in Medio Oriente.

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1 Commento


  • Isa Baumonde

    A mio avviso la Cina finirà per entrare in guerra contro gli USA e URSS. E questa volta non ci sarà un angolo sulla terra che verrà schiacciato ed annientato se nonché ferito.

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