Sebahat Tuncel, una deputata eletta nelle liste del Partito per la pace e la democrazia (Bdp), è stata condannata oggi alla pesantissima pena di otto anni e nove mesi di carcere con l’accusa di appartenere all’organizzazione armata dei ribelli curdi, il Pkk. Tuncel era già stata arrestata, ma liberata nel 2007, quando fu eletta in parlamento ad indagine ancora in corso. Se la Corte d’appello confermerà la condanna come sembra probabile la Tuncel, che ora non può lasciare la Turchia, perderà l’immunità parlamentare e finirà in prigione, andando a fare ‘compagnia’ a decine tra parlamentari, sindaci ed eletti del Bdp incarcerati in questi ultimi mesi insieme a giornalisti e intellettuali curdi.
Che lo stato turco sia protagonista di una recrudescenza repressiva contro il popolo curdo lo dimostrano le dichiarazioni altisonanti e propagandistiche rese ieri dal premier nazionalista-islamico di Ankara. Recep Tayyip Erdogan si è infatti vantato con la stampa che il ‘suo’ esercito ha ucciso nell’ultimo mese circa 500 ribelli curdi. Secondo il capo del governo turco 123 ”terroristi” del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) sarebbero stati ”neutralizzati” negli ultimi 10 giorni nella provincia di Hakkari, nel Kurdistan turco. Negli ultimi giorni otto poliziotti e quattro soldati turchi sono stati uccisi nella zona dai guerriglieri indipendentisti. In un precedente bilancio diffuso il 10 settembre l’esercito turco aveva affermato che dall’inizio dell’anno erano stati uccisi negli scontri 373 ribelli e 88 soldati. Cifre da prendere con le molle visto che il governo non fornisce nessuna informazione su quello che sta realmente accadendo nel Kurdistan turco, dove nonostante le dichiarazioni trionfalistiche dei generali e di Erdogan la guerriglia del Pkk e le milizie popolari kurde stanno mettendo a dura prova l’esercito di Ankara con ripetuti e sanguinosi attacchi.
Una recrudescenza nei combattimenti che ha molto a che fare con il ruolo di primo piano che la Turchia svolge nella destabilizzazione della confinante Siria sostenendo i ribelli sunniti siriani contro il regime di Assad. Le milizie dell’opposizione siriana vengono addestrate e rifornite di armi ad Antiochia e nella regione turca meridionale a maggioranza araba, e molte fonti citano la presenza di consiglieri e commando turchi in territorio siriano da ormai molti mesi. Il che ha spinto alcune delle principali organizzazioni kurde siriane a dissociarsi dal cartello delle opposizioni sunnite accusate di essere diventate lo strumento di Ankara oltre che delle petro-monarchie del golfo Persico.
Una bella gatta da pelare per il regime e per il premier turco, che nei giorni scorsi è stato bersagliato da una parte della stampa che lo ha accusato di scarsa trasparenza e di propaganda su quanto avviene al confine meridionale del paese. La presidente dell’associazione degli industriali turchi (Tusiad) Umit Boyner ha esplicitamente affermato che “il popolo turco vuole sapere che cosa stia succedendo” e ha criticato ”l’atteggiamento intransigente dei politici”, provocando una irritata reazione del premier. ”Non spetta a lei decidere che cosa la gente deve sapere: in questi incidenti il governo e il potere giudiziario decidono che cosa la gente può sapere” ha replicato Erdogan, citato da Milliyet.
Per ora le critiche interne non scalfiscono il potere incontrastato di Erdogan e del suo partito, molto più preoccupati della possibile saldatura tra Pkk e organizzazioni curde siriane in un momento in cui la crisi di Damasco sembra ad un punto di svolta. E il ruolo dei curdi nella regione preoccupa anche gli Stati Uniti se è vero, come scrivono le agenzie di stampa, che nei giorni scorsi “la Siria e il conflitto nel Kurdistan sono stati al centro dei colloqui ad Ankara fra il capo di stato maggiore turco Necdet Ozel e il collega Usa Martin Dempsey”. Nell’incontro il rappresentante di Ankara avrebbe criticato la ‘prudenza’ americana sulla Siria e avrebbe chiesto un intervento più deciso contro Damasco e contro la guerriglia curda. Poco prima lo stesso Erdogan aveva espresso frustrazione per il ruolo statunitense nella sanguinosa guerra civile in corso in Siria. ”Russia e Cina sono più influenti in questa crisi” – ha detto il premier citato dal quotidiano Haberturk – mentre gli Usa ”per il momento non sono impegnati”. Erdogan ha lasciato intendere che tutto potrebbe dipendere dalla campagna elettorale in corso negli Stati Uniti, forse sperando che una vittoria del Partito Repubblicano possa determinare una maggiore incisività dell’intervento americano contro curdi e siriani.
Il regime turco si dimostra nervoso per l’impasse nella guerra civile siriana, esposto agli attacchi crescenti del Pkk e allo scontento di una parte importante della sua opinione pubblica – i settori di sinistra e la comunità alawita – che chiede la fine della destabilizzazione di Damasco e un serio impegno contro le milizie di Al Qaeda sempre più protagoniste degli attacchi contro l’esercito siriano e di crimini di guerra che neanche l’Onu o Human Rights Watch possono più permettersi di nascondere.
Per combattere adeguatamente la guerriglia curda Ankara avrebbe chiesto agli Stati Uniti di poter utilizzare i droni di Washington al confine fra Turchia e Nord Iraq. Ma secondo il quotidiano Zaman, vicino al governo di Ankara, gli Stati Uniti avrebbero consigliato ad Ankara di trasferire verso il confine con la Siria parte del dispositivo militare finora di stanza nell’Egeo in chiave anti-greca. Che ad Erdogan sarà suonato, a torto o a ragione, come uno ‘sbrigatevela da soli’…
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