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Il bastone e la carota di Rajoy

 

Tutto il mondo è paese, quando un politico deve tagliare il bilancio e cercare di rabbonire la popolazione già inferocita. Però Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo, conservatore erede del franchismo, conferma di meritare il «nick» che il suo paese gli ha ormai cucito addosso: el mentiroso. Il bugiardo, insomma.

Ieri ha presentato la sua legge finanziaria, con cui intende racimolare ben 39 miliardi per l’anno prossimo. Ma ha trovato modo di aumentare le pensioni e i fondi scolastici. Miracolo!, direte voi. Fino ad un certo punto. La rivalutazione degli assegni è di circa l’1%, il che comporta comunque un aumento della spesa pubblica per circa 3 miliardi, che preleverà da uno speciale Fondo di riserva. Contemporaneamente, però, ha infilato tra le righe del suo maxi-documento una «riforma delle pensioni» che partirà nel 2013; naturalmente «per agganciare l’età pensionabile all’aspettativa di vita». Se qualcuno dubitava dell’esistenza di un unico programma di governo continentale, ha qui materia per ricredersi.
A scorrere la lista dei tagli (il 58% della manovra), comunque, si può agevolmente prevedere che le «aspettative di vita» cominceranno a contrarsi piuttosto velocemente. L’Iva era già stata aumentata, viene introdotta una tassa patrimoniale (altra differenza seria con le manovre italiche), nonché un ulteriore prelievo del 20% sulle vincite alle lotterie. Poi riduzione del 20% di tutte le spese dei ministeri, lotta all’evasione fiscale e liberalizzazione totale di tutto ciò che era rimasto in qualche modo «protetto». La riforma del «mercato del lavoro» (reforma laboral), c’era già stata.
Tutto ciò per riportare il rapporto deficit/Pil – che nel 2011 era al 9% – al 6,3 quest’anno e al 4,5 nel 2013. Basterà per convincere «i mercati» a mollare la presa sul debito pubblico iberico? Lo spread tra Bonos e Bund tedeschi, tornato a salire, dice di no. Anche perché oggi verranno presentati anche i risultati degli stress test sulle banche spagnole. E da quel che sembra i risultati non saranno gradevoli. Madrid aveva già chiesto la disponibilità di fondi europei per ricapitalizzarle (100 miliardi stanziati), prevedendo di usarne solo una parte (60). Ma il presidente di Bbva, uno dei principali istituti di credito del paese, ha già alzato l’asticella a 70-80 miliardi.
Nonostante questo quadro (complicato dalle richieste di finanziamenti da parte di diverse regioni autonome, ultima ieri la Castiglia), Rajoy esita a chiedere ufficialmente «aiuto» all’Europa. Il suo incubo – come per tutti – sono le «condizioni» cui dovrebbe sottoporsi; in pratica, una sorta di «amministrazione controllata» (come è avvenuto per Grecia, Irlanda, Portogallo e presto Cipro). In una intervista lo ha detto esplicitamente: «dobbiamo prima valutare se le condizioni per l’accesso ai fondi sono ‘ragionevoli’». Il problema, però, è che in genere sono i creditori a porre le condizioni; il richiedente può solo accettarle o no.
L’impressione è che «i mercati» – vedi il commento di Pastrello, di fianco – stiano premendo per «convincerlo». Ed anche i paesi più «virtuosi» dell’Europa settentrionale (Germania, Olanda, Finlandia) stanno spingendo nella stessa direzione: hanno infatti inviato una lettera congiunta alla Ue per chiedere che un’eventuale rischiesta d’aiuto sia approvata solo con l’imposizione di «condizioni rigorose».
Anche Rajoy sa che alla lunga non potrà reggere, ma il progetto che gli viene attribuito è di arrivare alla resa insieme almeno ad un altro paese importante: l’Italia. Secondo numerosi operatori finanziari, intervistati da diversi media, un accordo in tal senso sarebbe già stato stretto con Mario Monti. Quando? Nella riunione europea di fine giugno, in cui la Spagna appoggiò proprio la «linea italiana», mettendo per la prima volta in difficoltà Angela Merkel.
Del resto, l’andamento degli spread dei due paesi – dopo che l’avvento del governo Monti aveva riportato quello italiano a livelli meno terrificanti – procede paralleamente da molti mesi. Un eccessivo ritardo nella richiesta d’aiuti, sottolineano gli operatori, potrebbe far salire lo spread spagnolo fino a 800 punti, trascinando quello dei Btp italiani intorno ai 650-700. Un livello per cui – con rendimenti sui titoli di stato che andrebbero a sfiorare il 9% – nessun’altra strategia sarebbe possibile.
La partita si sta giocando in questi giorni, e vede soprattutto la Spagna al centro dei riflettori. Sarà un caso, ma Monti ha scelto proprio la giornata di ieri – così importante per l’evoluzione della crisi europea – per dirsi disponibile ad un altro turno da presidente del consiglio non eletto. Una «forzatura» evidente della democrazia, ma anche un messaggio diretto ai mercati che contano: «finché ci sono io, non vi dovete preoccupare troppo». Noi invece sì.

da “il manifesto”

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