Stamane c’era una protesta comune che da alcuni quartieri cairoti convogliava diversi cortei sulla storica Tahrir. La protesta additava il corpo giudicante che aveva assolto i 25 imputati della cosiddetta “battaglia dei cammelli” del 2 febbraio 2011, quando in piena rivolta anti-Mubarak, il raìs e i suoi ministri ordinavano la repressione e polizia ed esercito uccidevano i manifestanti. In quell’occasione anche con l’ausilio dei famigerati baltagheyah, i picchiatori prezzolati, di cui durante i mesi seguenti s’è servita la stessa Giunta Tantawi nel massacro dello stadio di Port Said e nella strage di copti al Maspero. Quelle pagine di strategia della tensione latente possono venir cancellate da sentenze non esemplari, come questa pronunciata due giorni fa, non dissimile dal famoso processo a Mubarak, graziato insieme all’ex ministro Al-Hadly dalla condanna capitale nel giugno scorso. Perciò tutti nuovamente in strada con concentrazioni che hanno visto da una parte il cartello anti-islamista: liberali e Partito Costituzionale, Corrente Egiziana, Alleanza Democratica Rivoluzionaria che assembla tutte le sinistre, il Movimento 6 Aprile, il fronte dei pacifisti col Movimento Mina Daniel. Che in più ricordavano ciò che tuttora manca dopo oltre 100 giorni di presidenza Mursi: tetti minimi e massimi dei salari, una riduzione dei prezzi di base dei generi alimentari e soprattutto una Carta Costituzionale (tuttora in via di scrittura) per tutte le voci d’Egitto. Quest’ultimo punto deve aver infastidito non poco la Fratellanza di regime. Dietro ai sorrisi di prammatica dei rispettivi ruoli Mursi e Qandil sentono puzza di contestazione, visto che l’opposizione non nasconde il sogno d’una rivincita alle prossime politiche preceduto da un possibile successo nel Referendum costituzionale che potrebbe bocciare la Carta voluta dagli islamisti.
Proprio nei giorni scorsi sulla stampa locale era tornato alla ribalta il nodo dell’articolo 36, quello sui diritti di uomini e donne, tuttora presente nella bozza costituzionale con la dicitura “secondo i princìpi islamici”. Divisione anche su altri temi scottanti: il ruolo della religione e del possibile potere conferito all’autorità islamica della moschea di Al-Azhar di rivedere le leggi (una sorta di tutela confessionale sullo Stato), la reale indipendenza della magistratura, il ruolo dei militari. I laici contestano quasi in toto l’impostazione data dai 100 membri dell’Assemblea. Perciò, dopo la rituale preghiera, ad accusare la sentenza salva-poliziotti e baltagheyah e per non lasciare tutta la visibilità politica all’opposizione, in piazza è sceso l’intero universo islamista. Non solo gli attivisti del Partito Libertà e Giustizia e di Al-Nour ma le correnti salafite più integerrime, compresi i militanti di Al Gama’al Al-Islamiyya. Da qui nessuna meraviglia che i toni esasperati siano giunti al parapiglia fra le parti, con lanci di sassi e bottiglie, assalti al palco dove avrebbero dovuto alternarsi gli oratori dello schieramento laico. L’episodio, seppure circoscritto dalle Forze dell’Ordine e in parte dai responsabili delle fazioni, può preoccupare perché potrebbe creare contrapposizioni violente simili a quelle comparse di recente in Tunisia, riportando l’Egitto impegnato nella ricostruzione da un confronto dialettico a conflittualità confessional-claniste. Anche contro quest’ultime si sono battute durante la “primavera” del Paese figure come l’indimenticato attivista cristiano Mina Daniel (una delle 24 vittime del Maspero che s’ispirava a Che Guevara e come lui ucciso il 9 ottobre) e i suoi amici musulmani. Assieme dicevano: “noi egiziani dobbiamo superare divisioni confessionali e secolari ed essere uniti contro povertà e corruzione interna ed estera”. Idealisti? Sicuramente. Qualcuno sostiene che sono stati ammazzati per questo.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa