Ieri sembrava che l’estensione della protesta delle organizzazioni politiche e popolari curde a favore di condizioni più umane di carcerazione per ‘Apo’ Ocalan e per il miglioramento delle condizioni di detenzione per migliaia di detenuti politici stesse aprendo qualche spiraglio nella monolitica politica repressiva di Ankara. Ma con il passare delle ore ad alcune dichiarazioni apparentemente distensive di esponenti del governo non sono seguiti fatti concreti, e quindi lo sciopero della fame a oltranza si è intensificato. La protesta, iniziata lo scorso 12 settembre da alcune decine di prigionieri politici curdi ed estesosi a circa 700 persone rinchiuse in quasi 70 carceri, è sostenuta da decine di migliaia di persone mobilitate da settimane con manifestazioni, presidi, conferenze e scioperi della fame di alcuni giorni, a staffetta, sia all’interno del territorio dello stato turco sia all’estero, laddove sono presenti comunità curde.
Nonostante la protesta abbia forme totalmente pacifiche gli apparati repressivi di Ankara continuano ad attaccare violentemente manifestazioni e presidi. Il 4 novembre, ad esempio, gli agenti in tenuta antisommossa hanno attaccato un meeting organizzato ad Istanbul: contro la folla che si era radunata nel quartiere di Aksaray – tra loro anche artisti e deputati – la polizia ha usato gas lacrimogeni e manganelli, e alla fine ha arrestato tre dei partecipanti. Anche una successiva conferenza stampa indetta dal BDP, il principale partito curdo della Turchia, nella sua sede è stata proibita.
Ed ora anche alcuni deputati del Partito della Pace e della Democrazia che rappresenta la maggior parte degli elettori curdi, hanno annunciato l’adesione allo sciopero della fame. A comunicarlo è stato il co-presidente del Bdp, Gultan Kisanac, spiegando che due deputati, Emine Ayna e Ozdal Ucer, sono già in sciopero da ieri e domani verranno seguiti da altri otto parlamentari. “Le nostre richieste – ha spiegato ai giornalisti Kisanak – fino a questo momento non hanno ottenuto i riscontri che speravamo. Soprattutto 120 detenuti sono in situazione molto critica, rischiano di perdere la vita”. “Vogliamo passi concreti nella possibilità di difesa nella lingua madre – ha continuato Kisanak – e in secondo luogo vogliamo che Ocalan possa incontrare i suoi avvocati. La persona con cui parlare per trovare una soluzione è Ocalan”.
Nei giorni scorsi sembrava che il partito di governo turco, l’AKP, volesse tentare di disinnescare la protesta accettando che i detenuti curdi possano usare la propria lingua per difendersi durante i processi, cosa attualmente proibita. “Le parole del vicepremier Bülent Arinç dopo la riunione del consiglio di ministri hanno dato speranza a tutti noi, tuttavia finora non sono stati fatti passi concreti, nonostante siano passati quattro giorni e i nostri amici si avvicinino alla morte ogni momento che passa. I nostri amici non termineranno lo sciopero della fame senza aver visto passi concreti” ha avvertito il deputato Ücer ieri a Diyarbakir dopo l’inizio della sua protesta.
Il commissario Ue per l’Allargamento Stefan Fule ha espresso la sua preoccupazione per la vicenda in un incontro a Bruxelles con il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu l’altro ieri. “Mi attendo che le autorità impediscano, in linea con gli standard internazionali per i diritti umani, un ulteriore peggioramento della salute dei prigionieri, è ho sollevato la questione con il ministro Davutoglu” ha affermato il commissario in una lettera indirizzata alla deputata curda indipendentista Leyla Zana. Ma Fule è preoccupato per la salute dei prigionieri in sciopero e per la violazione dei loro diritti oppure per i problemi che la morte di alcuni di loro potrebbe causare al processo di avvicinamento di Ankara a Bruxelles e ai buoni affari che l’Unione Europea conduce con la Turchia?
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