Lo era stato anche con “Piombo fuso” quando su quel valico c’era l’esercito di Mubarak. Soggetto totalmente asservito alla politica estera statunitense nel passaggio di consegne fra le amministrazioni Bush jr. e Obama, e luogo sicuro per le truppe d’Israele che potevano contare sulla ferrea collaborazione del raìs. Non tanto nell’invadere la Striscia ma nel praticare operazioni di polizia doganale e bloccare il transito agli aiuti umanitari lì puntualmente fermati. Con tanto di barriera metallica, che fu fatta saltare dalle milizie di Hamas nel gennaio 2008, e col successivo progetto di costruzione di un muro sotterraneo che impedisse il passaggio attraverso i famosi tunnel. L’attuale posizione dell’Egitto in versione islamica moderata ha condotto le massime cariche istituzionali (Mursi e Qandil) a solidarizzare coi fratelli palestinesi, e con quei Fratelli di fede e di appartenenza politica, prendendo il centro delle trattative e gestendo la prima tornata degli incontri che cercano una tregua. Tel Aviv li accetta seppure tramite funzionari minori. Ma se i dialoghi non daranno i frutti sperati e Israele vorrà proseguire con l’affondo l’Egitto, per non vedersi scavalcato dagli eventi, potrebbe trovarsi nella scomoda posizione di dover alzare la posta di un’iniziativa non più collocata sui tavoli diplomatici.
Nel voler evitare un conflitto con un avversario che è la bestia nera del suo elefantiaco esercito l’attuale governo egiziano potrebbe infastidire non poco la possibile iniziativa di terra di Tsahal tenendo aperto il varco di Rafah. Esperti militari sostengono che la mossa obbligherebbe Israele a occupare la zona di confine magari intervenendo sul territorio egiziano e attuando di fatto un’invasione anche da quel lato. Un mancato intervento dell’Idf sul confine meridionale significherebbe subire l’arrivo d’ogni genere d’aiuto ai palestinesi come sta già accadendo. Ieri un convoglio con 550 attivisti è appunto transitato dal valico portando solidarietà ai cittadini di Gaza bersagliati dai raid aerei. Erano delegazioni politiche partite dal Cairo (Corrente Popolare, Partito Nasseriano, Partito socialista di Alleanza Popolare, Gioventù del movimento Libertà e Giustizia, Strong Party). Oppure in una situazione di aggressione via terra si potrebbe verificare la fuga di profughi verso l’Egitto. Possibili rifugiati rappresenterebbero un problema per la grande nazione araba obbligata a tamponare l’emergenza non solo con le strutture della solidarietà internazionale (Mezzaluna Rossa e Unrwa) ma con un impegno diretto dell’amministrazione statale.
E’ vero che il sostegno economico non mancherebbe da parte di molti Paesi dell’area, alcuni, come l’onnipresente Qatar, si solo già mossi con elargizioni di 400 milioni di dollari di recente convogliati nella Striscia dall’emiro Khalifa, però il quadro politico subirebbe un deciso inasprimento contro Israele. La via che Netanyahu ha finora tracciato con l’operazione in corso che – secondo una consolidata tradizione definisce difesa ogni sorta d’attacco – costituisce un colpo contro la funzione che l’Egitto della Fratellanza puntava e punta a ricoprire nella regione. Un ruolo di riferimento al pari dei sauditi, iraniani, turchi. Eppure finora i rapporti fra Il Cairo e Tel Aviv erano rimasti buoni, soprattutto in quelle zone di confine come la penisola del Sinai divisa in fasce di competenza dagli accordi di Camp David ‘78. In quel deserto dove taluni gruppi fondamentalisti, appoggiandosi a carovane di mercanti e beduini, sono diventati una spina nel fianco per lo stesso Egitto governato dalla Fratellanza. Gli scambi informali e la collaborazione nelle zone di reciproca competenza (egiziana a ovest, israeliana a est, coi caschi blù al centro) reggono da anni e sono proseguiti dopo gli attacchi jihadisti d’agosto alle guardie di frontiera egiziane. Israele ha passato molto volentieri agli egiziani il compito di polizia interna in quel territorio diventato terreno di coltura dei suoi nemici. Ora le “Colonne di fumo e i “Pilastri di difesa” possono rimettere in discussione tutto, in un orizzonte politico mutato e mutabile.
Enrico Campofreda, 20 novembre 2012
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