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“Ecco perché Israele ha rinunciato all’invasione di terra”

Un articolo da IlSole24Ore ci sembra più chiarificatore di tanta propaganda orientata da “manine” non tanto oscure.

Prima l’annuncio che la possibilità dell’invasione terrestre era “50 a 50”. Poi che l’ipotesi veniva scartata: “almeno per le prossime 24 ore”. Israele è in difficoltà: vorrebbe attaccare, dare un colpo deciso come quattro anni fa. Ma se allora la regione e il resto del mondo assistevano in silenzio, ora attorno a Gaza si è formata una specie di fascia di sicurezza diplomatica.

Bibi Netanyahu non può dare l’ordine di attacco mentre Hillary Clinton, il segretario di Stato americano, è in arrivo in Israele e il segretario generale Onu Ban Ki moon è al Cairo. Il premier israeliano sa che oltre la dichiarazione di rito sul diritto a difendersi dai razzi di Hamas, l’amministrazione Obama non condivide quasi nulla dell’escalation militare in corso da una settimana. La considerazione principale dei vertici israeliani è che c’è un gap troppo profondo fra i danni diplomatici che l’operazione terrestre provocherebbe e i vantaggi politico-militari che garantirebbe. Una catastrofe nel primo caso, perché nella nuova realtà del mondo arabo nemmeno gli Stati Uniti sosterrebbero Israele fino in fondo come in passato. Quanto ai vantaggi militari, sarebbero relativi: l’operazione “Piombo fuso” con l’assalto terrestre di quattro anni fa, ha garantito a Israele solo qualche mese senza lancio di razzi Kassam. Un secondo attacco non potrebbe fare di meglio a meno di radere al suolo l’intera striscia di Gaza.
C’è tuttavia una considerazione interna. Se, dopo aver mobilitato 30mila soldati e messo in allerta 75mila riservisti; dopo che i razzi di Hamas, ma di fabbricazione iraniana, si sono avvicinati a Tel Aviv e Gerusalemme; dopo aver permesso ad Hamas di diventare un protagonista regionale. Se dopo tutto questo Bibi Netanyahu, il suo ministro della Difesa Ehud Barak e quello degli Esteri Avigdor Lieberman, fermeranno definitivamente l’offensiva, perdono le elezioni.
In Israele si vota a fine gennaio. La maggioranza dell’opinione pubblica, l’elettorato, vuole una soluzione del problema Kassam: i sondaggi e i commenti dei giornali dicono che una percentuale decisiva è convinta che la soluzione sia l’offensiva terrestre. Fino ad ora è stato condiviso tutto: gli omicidi mirati dei capi militari di Hamas, i bombardamenti sempre più potenti e sempre meno precisi, il numero crescente di vittime civili fra i palestinesi. Non esiste alternativa alla continuazione della guerra fino in fondo. Anche se un fondo raggiungibile in realtà non esiste.

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