Il vero vincitore delle elezioni politiche di ieri è stata l’astensione, con un tasso di partecipazione degli aventi diritto bassissimo. L’affluenza alle urne alle elezioni legislative di ieri infatti è stata appena del 41,72%. Due punti in più rispetto al livello del 2008, ma comunque segno di una disaffezione e di un distacco crescenti dei romeni nei confronti del sistema politico in vigore.
Tra quelli che hanno votato ha trionfato la coalizione di centrosinistra. L’Unione social-liberale (Usl), che raggruppa i socialdemocratici del primo ministro uscente Victor Ponta e i liberali di Crin Antonescu, ha vinto le elezioni con il 57% delle preferenze secondo gli exit poll di ieri sera e con addirittura il 58-60% secondo i primi dati provenienti dallo scrutinio. Al contrario l’opposizione di centro-destra che fa riferimento al presidente Traian Basescu e guidata da Mihai Ungureanu avrebbe subito una vera e propria debacle, ottenendo solo un 17-19% dei voti. “Si tratta di una vittoria contro il regime di Basescu” ha esultato Antonescu. Sulla base di questi risultati, l’Unione social-liberale dovrebbe poter contare di una maggioranza dei due terzi del Parlamento. “Come ho promesso ai rumeni durante la campagna elettorale, mi assumo la responsabilità di continuare a guidare il governo dell’Usl”, ha affermato Ponta davanti ai suoi sostenitori a Targu Jiu. “L’orientamento del governo che andrò a dirigere sarà filo-europeo e filo-atlantico. Siamo membri dell’Unione europea e della Nato e il nostro futuro è all’interno della famiglia europea”, ha aggiunto Ponta.
Ma far parte della famiglia europea vuol dire, ammette il giovane Ponta, ricorrere a nuovi tagli per far quadrare i conti, in un paese che alcuni mesi fa ha visto vere e proprie sommosse contro la decisione del governo precedente di tagliare stipendi e pensioni e di privatizzare quel poco di stato sociale rimasto, a partire dalla sanità. Sommosse che evitarono l’applicazione delle misure di privatizzazione più draconiane. Che ora potrebbero essere nuovamente imposte da Victor Ponta forte di una maggioranza schiacciante in parlamento (al netto dell’astensione che però in democrazia non sembra contare).
Accusato di “doppio linguaggio” nei confronti dei valori europei da lui professati, Ponta è leader del Partito Social Democratico (PSD) e ha fondato all’inizio del 2011 l’Unione social liberale (Usl), una coalizione con i liberali di Crin Antonescu e il piccolo Partito Conservatore. Maggioritaria in parlamento, l’Usl è diventato il braccio armato dello scontro istituzionale con il presidente, culminato in un tentativo di destituzione di Basescu, fallito tuttavia per la mancanza del quorum al referendum che avrebbe dovuto confermare l’impeachment. Le stesse Ue e gli Usa, nonostante la fedeltà di Ponta, l’hanno accusato di mettere a repentaglio lo stato di diritto, in particolare per le pressioni sulla Corte Costituzionale. Di fronte a queste pressione, a fine luglio Ponta ha ammesso la necessità di una correzione di rotta ed ha quindi incassato una maggiore tolleranza da parte delle istituzioni internazionali.
Nato il 20 settembre del 1972 a Baia de Fier, nel Sud della Romania, Ponta è stato procuratore prima di lanciarsi nella grande politica. Se alcuni anni fa dichiarava la sua ammirazione per Che Guevara, ora dice che il suo modello è l’ex premier britannico Tony Blair. Ha fatto carriera in seno al PSD grazie al suo mentore, l’ex premier Adrian Nastase, oggi in carcere per corruzione e dal quale non ha tuttavia mai preso le distanze.
In una intervista concessa a Paolo Brera e pubblicata dal quotidiano La Repubblica, con un linguaggio arzigogolato e pomposo, Ponta chiarisce le sue intenzioni: lacrime e sangue per il popolo romeno. Di seguito alcuni passaggi della conversazione con il giornalista italiano:
“(…) ho preso in mano il governo otto mesi fa in un modo che ha sorpreso anche noi, perché il precedente governo aveva perso la fiducia del Parlamento. Quello che ho fatto è trovare una soluzione tra il varo dei programmi sociali, di cui avevamo tanto a lungo parlato quando eravamo all’opposizione; e il mantenimento della stabilità economica: ci eravamo impegnati a farlo con Fmi e Commissione Ue, e ci siamo riusciti, pure in tempi molto difficili. Il deficit del bilancio pubblico è precipitato dal 4,5% del 2011 al 2,2% di quest’anno, e non è stato facile per niente. Nello stesso tempo il nostro debito nazionale è sotto il 40% del Pil, una buona situazione anche paragonata alla media Ue”.
Ora punterete sull’austerità o sulla sostenibilità sociale?
“Si è aperta una gran battaglia tra austerità e programmi sociali: io non credo molto nell’austerità ma questo non significa che la Romania può spendere di più e indebitarsi ulteriormente. È impossibile, siamo obbligati a mantenere il rigore dei conti, ma si può fare disciplinando meglio le spese pubbliche, un capitolo sul quale in Romania c’è ancora spazio. Sono molto interessato, per esempio, a vedere come procede in Italia la spending review: sono sicuro che anche l’amministrazione romena può risparmiare soldi che oggi spende senza averne necessità. Quanto alle tasse, invece, ho intenzione di mantenere il regime attuale, molto favorevole agli imprenditori: abbiamo una flat tax del 16% che non vogliamo cambiare”.
Però la Romania resta un paese povero, e con livelli di corruzione molto elevati.
“Il problema non è solo la corruzione. Abbiamo cominciato un programma di trasparenza delle spese pubbliche e abbiamo subito trovato soldi, prezzi più competitivi nei lavori pubblici e imprenditori pronti a venire. Credo che potremmo avere un tipo di amministrazione molto più efficace, e nello stesso tempo ci dobbiamo occupare dei programmi sociali. Non possiamo spendere per tutti, ma dobbiamo selezionare progetti specifici: la disciplina del budget non si fa sul conto dei poveri e di chi non può più vivere con la crisi. La Romania ha un potenziale non ancora utilizzato in agricoltura e energia, l’importante adesso sono le discussioni europee sul prossimo budget 2014-20: ho già varato riforme strutturali su lavoro e energia, se riesco a fare anche la riforma dell’amministrazione sono piuttosto ottimista sul destino del nostro Paese”.
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