Secondo l’osservatorio secolare degli intellettuali che s’oppongono all’Islam politico egiziano l’uno-due della Dichiarazione Costituzionale – ritirata dal Presidente – e del Referendum – confermato con tanto di supervisione del Club dei Giudici – rappresenta il culmine di quell’arroganza che i laici contestano all’ultimo volto assunto dalla Fratellanza Musulmana. Essa assieme ai salafiti si sentirebbe (questa è l’accusa) di rappresentare l’intero Egitto come se il resto della nazione non esistesse più, ed egualmente non esistessero differenti interessi ideologici, religiosi e culturali. Fra le componenti della Fratellanza pare sia proprio l’ala più intransigente dei cosiddetti qutbisti (che si rifanno al pensiero dell’illustre teorico Sayyid Qutb imprigionato e poi impiccato in epoca nasseriana) a orientare in senso “militante” il vertice della Confraternita noto per attendismi e, in genere, portato ad aggirare gli ostacoli anziché contrapporsi frontalmente. Già nell’ultimo periodo del regime di Mubarak la frangia che s’ispira con vigore ai princìpi del pensatore si scagliava contro la disponibilità al compromesso della leadership dell’organizzazione, riesumando le critiche di Qutb verso un sistema giudicato egoistico e verso lo stesso Islam corrotto.
Sarebbero, dunque, i qutbisti a esasperare il conflitto con la restante visione della vita presente nel Paese. Chi li addita gli rinfaccia una prassi totalizzante di ogni genere di rapporto che va dal lavoro al matrimonio, dagli affari privati alle attività sociali e culturali, passando ovviamente per la fede. Sarebbero costoro gli attivisti pronti a menar le mani sugli oppositori a Mursi, quelli accusati di urlare “Oh Badie (l’attuale ‘guida spirituale’ della Confraternita, ndr) tu comanda, noi obbediamo”. Costoro pur distanti, almeno per ora, dallo scontro armato dichiarano di voler difendere il Presidente e l’organizzazione con ogni mezzo. E qualche fucilata nel mercoledì dell’assedio a Heliopolis l’hanno pure sparata. Che nel movimento politico della Fratellanza ci siano correnti è noto e comprensibile; che nel suo Gotha ci fosse maretta fra più d’una figura di vertice era cosa altrettanto conosciuta. Nel 2005, quando Mubarak era ancora un temuto raìs, la frazione giovanile contestava la partecipazione elettorale degli Ikhwan che vide una sorta di rientro nella legalità (vigilata) e l’ingresso in Parlamento di 88 rappresentati. Un nucleo minoritario rispetto ai 350 deputati in maggioranza del Partito Nazionale Democratico, ma che confermava un rapporto mai interrotto con la popolazione.
Poiché votare per la Fratellanza anche negli anni a noi più vicini era comunque pericoloso, il Mukhabarat poteva sempre indagare e far passare guai all’elettore, nonostante si fossero attenuati gli effetti repressivi della legge 100 che nel 1993 aveva fatto incarcerare numerosi quadri sindacali islamici. La partita con la componente riformista di cui Abol Fotouh è stato l’esponente di spicco, in predicato a diventare ‘guida spirituale’, s’era chiusa nel 2009 con l’emarginazione del dottore. Al suo posto l’anno seguente fu eletto Mohammad Badie, uomo della conservazione che piaceva ai capitalisti di casa Al-Shater e Malek. Successivamente scoppiava la rivolta anti Mubarak e molti ragazzi della Fratellanza, contro le iniziali titubanze dei capi, scendevano a Tahrir trovandosi gomito a gomito coi coetanei laici. In quella fase accanto all’autoesclusione-espulsione di Fotouh, che poi formerà Strong Egypt Party, parecchi giovani islamici si ribellarono alla gerontocrazia. Lo fece anche il ventinovenne Ibrahim Al-Hudaybi indicato come un elemento dal sicuro avvenire politico. Anche lui uscì dall’organizzazione e tuttora non mostra rimpianti. La struttura della Brotherhood, che ha nel suo dna il radicamento sul territorio e ha avuto il fiuto di creare il Partito della Libertà e Giustizia, ha ricevuto per questa prontezza il grande premio elettorale con cui ha riempito Assemblea del Popolo e Consiglio della Shura di suoi deputati. Ma è stata quasi una maledizione.
Già quattro mesi dopo, al primo turno delle presidenziali, la Fratellanza diminuiva gli assensi. Non solo quelli riversati su Fotouh, gli statistici sostengono che dalle urne di novembre-gennaio a quelle del successivo maggio mancano addirittura 7 milioni di voti. La popolarità è scemata fra coloro che credevano nell’esperimento islamico pur non essendone adepti. Talune delusioni riguardano sia le promesse amministrative che non s’avverano: nuova rete idrica, igiene urbana, abbattimento di traffico e inquinamento, miglioramento dei trasporti pubblici. Le questioni lavorative come le enormi carenze che continua a registrare l’attività turistica, seconda entrata nazionale, che vede inattivi 5-6 milioni di addetti, i conflitti col caotico fenomeno del commercio abusivo. Alcune recenti misure rivolte a regolamentare abitudini appaiono sgradite agli interessati: chiusura degli esercizi commerciali alle 22, più un aumento delle tasse che come in ogni latitudine scontenta tutti. Quest’ultimo è stato opportunamente od opportunisticamente bloccato ieri. E se nei passi di politica estera Mursi, l’uomo più esposto della Fratellanza, ha guadagnato la fiducia statunitense, il prestigio per la soluzione della crisi di Gaza e poi i finanziamenti del FMI, i petrodollari sauditi e qatarini, è invece rimasto vittima di un moto di supponenza con cui s’è avviato sul sentiero suicida del braccio di ferro con l’altro Egitto.
Così un disegno di egemonia si trasforma in una mera occupazione di potere che può spaccare il Paese. Oggi i critici dell’accelerazione autoritaria islamista tornano in strada e ci tornano anche Fratelli e salafiti. I militari vigilano in maniera sempre meno distaccata e mandano segnali. Il volo degli F16 sulle teste di tutti assume contorni inquietanti.
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