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L’Unione Europea non meritava il Premio Nobel per la pace

“Oggi, 10 dicembre 2012, l’Unione Europea ha ritirato il Premio Nobel per la Pace. E’ questa una notizia che offende profondamente. Non solo perché sono decenni che l’Unione Europea mette in pratica, sia a livello interno che esterno, politiche che violano tutti i principi più elementari della convivenza pacifica nonché i diritti fondamentali di milioni di cittadini in tutto il mondo. Ma anche perché sono decenni che l’UE si oppone con forza dentro le Nazioni Unite a qualsiasi riconoscimento formale del Diritto alla pace. La pace è l’obiettivo principale delle Nazioni Unite, la ragione stessa per cui sono state create. Tuttavia fino ad oggi non è ancora stato possibile codificare e incorporare il diritto umano alla pace nel nostro sistema di diritto internazionale.Come ha denunciato il senatore canadese Douglas Roche, “il lavoro realizzato fino ad ora all’interno del sistema delle Nazioni Unite per sviluppare il diritto umano alla pace è uno dei segreti meglio custoditi del mondo. La cultura della guerra impregna a tal punto l’opinione pubblica da soffocare le voci che sostengono che il diritto alla pace è un diritto fondamentale di ogni essere umano ed il principale requisito per l’esercizio degli altri diritti umani.”

Nel 1984 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò a larga maggioranza una storica Dichiarazione sul Diritto dei Popoli alla Paceche proclamava solennemente che tutti “i popoli della Terra hanno il sacro diritto alla pace” e che la salvaguardia e la promozione di questo diritto costituiscono un dovere fondamentale per ogni Stato. Durante la votazione i paesi europei si astennero, rifiutandosi di appoggiare tali affermazioni e mettendo subito in chiaro quella che sarebbe stata la loro costante posizione ostruzionista sul tema. Negli anni successivi sono stati fatti diversi tentativi per dare un contenuto più concreto a questo “sacro diritto” e renderlo così più efficace. Tentativi a cui l’UE si è sistematicamente opposta. “Il diritto alla pace non esiste” hanno continuato a ripetere, rifiutando anche solo di discuterne in ambito internazionale. Per loro la pace non è un tema di competenza di organismi multilaterali e democratici come l’Assemblea Generale, l’Unesco o il Consiglio dei Diritti Umani, perché lì sono solo una minoranza. L’unico organo che riconoscono competente in materia è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ovviamente controllano.

Nel gennaio 1997 l’allora Direttore Generale dell’Unesco, Federico Mayor, riconoscendo che la pace è una condizione indispensabile per l’esercizio dei diritti umani, propose di proclamare il Diritto umano alla pace ed includerlo nella lista dei diritti già riconosciuti. A tal fine fu elaborata una bozza di Dichiarazione prontamente distribuita tra ai Capi di Stato affinché facessero pervenire le loro osservazioni in merito. L’iniziativa, appoggiata da una schiacciante maggioranza di Stati, scatenò un’asprissima polemica culminata il 6 novembre 1997 durante la 29° Conferenza Generale dell’ Unesco quando i paesi europei, uno dopo l’altro, presero la parola per esprimere la loro ferma opposizione al progetto: “Non dobbiamo cercare di trasformare un’aspirazione in un diritto. Asteniamoci dal creare un nuovo diritto umano alla pace che è pericoloso” (Austria); “La Dichiarazione confonde pace e diritti umani, che devono invece essere affrontati separatamente” (Danimarca);“Un nuovo diritto potrebbe creare illusioni” (Francia); “E’ di moda appoggiare e creare nuovi diritti quando quelli che già esistono non sono rispettati” (Italia); “è inopportuno che l’ Unesco si intrometta in questo campo; “questa discussione è una perdita di tempo” (Svezia), e così via.

Il sig. David Adams, uno dei principali artefici delle politiche per la Pace dell’ Unesco, assistette sgomento al dibattito: “mentre alcuni stati avevano paura che [il diritto alla pace] avrebbe potuto essere talmente efficace da interferire con il loro diritto a fare la guerra, io mi sentivo frustrato per la sua mancanza di efficacia e per l’incapacità dell’ Unesco di incidere realmente a favore della pace.” In effetti nel 2000, quando terminò il mandato di Federico Mayor e gli Stati Uniti tornarono a dominare l’organizzazione, l’ Unesco abbandonò il progetto di contribuire alla codificazione del diritto umano alla pace. Il discorso fu tuttavia ripreso e portato avanti in altre sedi da altri paesi, prima fra tutti Cuba, una piccola isola caraibica del Terzo Mondo, che tante energie ha generosamente consacrato a questa importante battaglia. Il dibattito continuò anche nella società civile portando nel 2006 all’adozione della famosa Dichiarazione di Luarca.

Una decina di anni fa Cuba, con l’appoggio di vari paesi e di un network di 1800 ong, introdusse il tema nel Consiglio dei Diritti Umani. Anche in questa sede l’opposizione dell’UE è stata ferrea. Per fortuna l’Europa rappresenta solo una minoranza di voti e così, pur se a fatica, il diritto alla pace ha recentemente conosciuto sviluppi interessanti. Nel 2009, tenuto conto del fatto che alcuni paesi continuavano a mettere in dubbio l’esistenza stessa del diritto umano alla pace, Cuba presentò un progetto di risoluzione per chiedere all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite di organizzare un workshop sul diritto dei popoli alla pace con la partecipazione di esperti internazionali al fine di chiarire il contenuto e la portata di tale diritto.

L’UE si oppose in blocco alla proposta, affermando sostanzialmente che il Consiglio dei Diritti Umani non era la sede opportuna per discutere dell’argomento. La risoluzione fu tuttavia approvata con 32 voti a favore, 13 contro ed un’astensione  e il workshop si celebrò a Ginevra nei giorni 15 e 16 dicembre 2009.  Nel giugno 2010 Cuba presentò un nuovo progetto di risoluzione per chiedere che il Comitato Assessore del Consiglio dei diritti Umani, in consulta con gli Stati membri, la società civile, il mondo accademico e gli altri attori rilevanti, preparasse un progetto di Dichiarazione sul Diritto dei Popoli alla Pace. L’UE, ringraziando la delegazione cubana per l’iniziativa, chiese che la risoluzione fosse messa ai voti, annunciando che avrebbero votato contro: “Non crediamo che il Comitato Assessore faccia buon uso del suo tempo occupandosi di questo argomento”.

Leggendo il testo della risoluzione le ragioni dell’opposizione appaiono evidenti. Il testo riafferma il diritto allo sviluppo, il ripudio della guerra ed in generale della violenza per il raggiungimento di fini politici, la necessità di un nuovo ordine democratico internazionale. Parla di sovranità, integrità territoriale, indipendenza e autodeterminazione. E, come le precedenti risoluzioni, sottolinea che la profonda frattura che divide la società umana tra ricchi e poveri e la breccia sempre più grande che esiste tra il mondo sviluppato e il mondo in via di sviluppo rappresentano una grave minaccia per la prosperità, la pace, i diritti umani, la sicurezza e la stabilità mondiali”. Troppo per la “pacifica” Europa. La risoluzione fu infine approvata con 31 voti a favore, 14 contrari ed un’astensione. Tutti i paesi dell’UE rappresentati nel Consiglio votarono contro, insieme agli Stati Uniti, per certo anche loro governati da un premio Nobel per la pace.

Dopo un lungo processo di consultazioni, a cui l’UE si è addirittura negata a partecipare, il Comitato Assessore ha presentato un interessante progetto di Dichiarazione che di fatto raccoglie la maggior parte degli spunti ricevuti da governi e società civile. Il testo, composto da 14 articoli, per quanto perfettibile, rappresenta un enorme passo avanti rispetto alla solenne dichiarazione del 1984. Il Comitato Assessore suggerisce in primo luogo di cambiare il termine originale “Diritto dei popoli alla pace” in “Diritto alla Pace” tout court, ritenuto più adeguato in quanto permette di includere tanto la dimensione collettiva come la individuale di tale diritto. Di fatto il progetto di Dichiarazione supera la tendenza restrittiva a considerare la pace principalmente come un diritto collettivo ed a relazionarlo in forma esclusiva con temi come guerra e disarmo. Il diritto alla pace è un diritto appartenente a tutti gli esseri umani senza alcuna distinzione o discriminazione (art.1). E la pace non è solo assenza di violenza: tutti abbiamo “il diritto a vivere liberi da paura e miseria” e “vivere senza miseria implica il godimento del diritto a uno sviluppo sostenibile e dei diritti economici, sociali e culturali”. (art. 2). Negli articoli successivi il testo affronta vari temi relazionati con la pace e la sicurezza internazionale (disarmo, educazione alla pace, obiezione di coscienza al servizio militare, compagnie militari e di sicurezza private, resistenza e opposizione all’oppressione, operazioni di peacekeeping, etc). Tuttavia, riconoscendo che “la diseguaglianza, l’esclusione, la povertà generano violenza strutturale che è incompatibile con la pace e devono essere eliminate”, la Dichiarazione stabilisce, altresì, standard di pace positiva in aree come diritto allo sviluppo, diritto ad un ambiente salubre, diritti di rifugiati e migranti, etc.

Quando nel giugno 2012 il Comitato Assessore ha presentato il risultato del suo lavoro al Consiglio dei Diritti Umani, l’UE si è limitata a prenderne nota, ribadendo la sua posizione: “Restiamo dell’idea che il diritto alla pace non esista nel diritto internazionale”. Cuba si è fatta, invece, ancora una volta parte diligente ed ha preparato una risoluzione per dare il passo seguente: creare un Gruppo di Lavoro Intergovernativo con il mandato di negoziare il testo di una futura Dichiarazione delle Nazioni Unite sul Diritto alla pace sulla base del progetto presentato dal Comitato Assessore. Cercando di ottenere il più ampio consenso possibile, Cuba ha convocato una serie di riunioni informali con i delegati di tutti gli Stati interessati al fine di discutere il testo della risoluzione ed apportare, ove possibile, eventuali modifiche. Durante queste riunioni, i paesi europei hanno sollevato ogni tipo di obiezione. Si sono soprattutto dichiarati molto preoccupati per il progetto di Dichiarazione presentato dal Comitato Assessore, chiedendo pertanto che fosse eliminato qualsiasi riferimento a tale documento che per loro è vago e lacunoso in quanto non specifica la relazione esistente tra la pace ed i diritti umani. Si sono opposti all’idea di creare un Gruppo di Lavoro Intergovernativo, suggerendo di organizzare invece un altro workshop, simile a quello a cui si erano opposti tre anni prima. Hanno sostenuto che le due previste sessioni di 7 giorni di lavoro del Gruppo Intergovernativo avrebbero comportato un inutile spreco di denaro, sviando fondi ed energie da temi ben più importanti. Al che il delegato cubano ha osservato giustamente che visto che il Consiglio aveva appena speso due milioni di dollari per inviare una contestata Commissione d’Inchiesta in Siria, forse si poteva stanziare mezzo milione in favore del diritto alla pace.

Alla fine, grazie a profusi sforzi diplomatici ed alla pressione della società civile, la decisione di creare un Gruppo di Lavoro Intergovernativo al fine di elaborare una Dichiarazione sul Diritto alla pace è stata adottata dal Consiglio con 34 voti a favore, 12 astensioni ed un solo voto contrario, quello degli Stati Uniti. L’Unione Europea, “tenuto conto di tutti i difetti del presunto diritto alla pace e dei suoi effetti potenzialmente negativi sui diritti umani”, si è astenuta in blocco. Durante il dibattito la Gran Bretagna è intervenuta per dichiarare, anche a nome di Canada e Olanda, che “se fossero stati membri del Consiglio avrebbero votato ‘No’ a questa risoluzione”, preannunciando che considereranno con molta attenzione una loro eventuale partecipazione ai lavori del suddetto Gruppo di Lavoro.

L’opposizione europea al concetto di diritto alla pace così come si sta progressivamente sviluppando in seno alle Nazioni Unite è comprensibile. Si tratta, infatti, di un concetto della pace diametralmente opposto a quello che cercano d’imporre i governi di Europa e Stati Uniti con le loro bombe ed i loro eserciti. Tutti sanno che non può esserci pace senza giustizia sociale. Ma come sempre le democrazie occidentali decidono di ignorare i centinaia di milioni di persone che soffrono costantemente per non avere cibo da mangiare, un posto in cui vivere, un lavoro, assistenza sanitaria, educazione. D’altronde, perché un continente che spende centinaia di miliardi di euro all’anno per le spese militari, dovrebbe collaborare allo sviluppo del diritto alla pace?”

* rappresentante permanente dell’Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici alle Nazioni Unite di Ginevra

Il presente articolo è stato pubblicato su Il manifesto del 10 dicembre 2012

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