Reparti delle forze di sicurezza ed alcune unità dell’Esercito stanno presidiando da giorni la città di Ben Guerdane, al confine con la Libia, dove ieri parecchie centinaia di manifestanti hanno preso d’assalto e incendiato alcuni edifici pubblici. La tensione in città resta comunque molto alta e il dispiegamento di poliziotti e soldati cerca di evitare che la protesta riprenda in maniera frontale, come accaduto ieri quando le forze di sicurezza (poi sostituite dall’esercito), hanno tentato invano di disperdere una manifestazione con un nutrito lancio di gas lacrimogeni e pallottole di gomma. La rabbia della folla si è scatenata contro numerosi edifici, assaltati e in alcuni casi dati alle fiamme: a farne le spese la caserma della polizia e la sede locale del partito di governo Ennahda. Nei violenti scontri ci sarebbero stati numerosi feriti.
Ben Guerdane é da almeno sei giorni al centro di violente manifestazioni da parte della popolazione, che protesta contro la gravissima crisi economica, la disoccupazione dilagante e l’occupazione del potere da parte degli islamici. La rabbia popolare è esplosa soprattutto dopo che il governo libico ha deciso di prolungare la chiusura del posto di frontiera di Ras Jedir attraverso il quale passano ingenti quantità di merce, mettendo in ginocchio commercianti e negozianti e facendo crescere i prezzi dei prodotti di prima necessità. Tant’è che dopo le proteste di alcune categorie sociali anche il sindacato Ugtt ha deciso di proclamare ieri una giornata di sciopero generale nella città.
Il malcontento socio-economico espresso dalla popolazione di Ben Guerdane va ricollegato a un clima di insoddisfazione generalizzato che negli ultimi mesi ha portato in piazza i cittadini di altre località, tra cui Siliana, Sidi Bouzid, Kasserine, Gafsa e Sfax. Ovunque i manifestanti hanno espresso in forme radicali la propria fortissima delusione per le mancate risposte del governo Jebali, alle rivendicazioni che portarono alla cosiddetta ‘rivoluzione dei gelsomini’ nel 2011. Una protesta sempre più diffusa alla quale il capo dello Stato Moncef Marzouki ha risposto prorogando di altri tre mesi, fino a febbraio, lo stato di emergenza in vigore nel paese da gennaio del 2011.
Negli ultimi giorni le proteste contro il governo sono riprese in tutta la Tunisia, in particolare contro l’invadente occupazione di tutti i gangli del potere da parte e contro l’imposizione di una versione sempre più integralista dell’Islam a tutti i livelli della vita sociale.
Di pochi giorni fa la notizia che due fidanzatini sono stati fermati dalla polizia perché si stavano baciando per la strada, alla periferia di Tunisi. E che sono stati processati e condannati a due mesi di carcere per attentato al pudore. La pena è stata poi sospesa, ma l’episodio la dice lunga su quanto il paese, nonostante la cacciata del dittatore Ben Alì, stia cambiando. In peggio.
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