Che il processo di pace nel Paese Basco sia completamente paralizzato in una impasse che dura dal suo inizio è ormai evidente a tutti. Da quando l’Eta – l’organizzazione armata da più tempo attiva nel continente europeo – ha annunciato la fine definitiva della sua attività il 20 ottobre del 2011 di tempo ne è passato molto. E all’interno della sinistra indipendentista basca è avvenuta una vera e propria rivoluzione copernicana, con l’accettazione dell’azione politica come unica via per la trasformazione sociale e la costruzione nazionale, il ricambio della classe dirigente e la fondazione di un nuovo partito che non si può certo considerare la continuazione di Batasuna con un altro nome.
Ma dall’altro lato della barricata, il governo di Madrid e gli apparati dello Stato Spagnolo non hanno compiuto alcun passo. Proprio nessuno. Già il ‘socialista’ Zapatero si lasciò sfuggire pochi anni fa la soluzione che l’ETA e la sinistra basca gli offrirono su un piatto d’argento. Ed ora il ‘popolare’ Rajoy non si sogna proprio di fare come il suo collega conservatore britannico John Major, che intavolò serie trattative con l’Esercito Repubblicano Irlandese, permettendo poi al suo successore Tony Blair di ottenere la rapida smobilitazione dell’IRA. In tempi di crisi economica e sociale poter continuare ad agitare lo spettro del ‘terrorismo’ e del ‘separatismo’ basco deve apparire ai politici spagnoli una risorsa da tenersi buona e da non dilapidare attraverso trattative e negoziati che una parte consistente dell’opinione pubblica di quel paese, abituata al discorso del ‘nemico interno’, non gradirebbero.
E così nonostante le rassicurazioni da più parti venute sulla reale volontà da parte del gruppo armato di portare fino in fondo, fino al disarmo e alla smobilitazione il processo iniziato nel 2011, il governo spagnolo non ha compiuto nessun passo nella direzione della soluzione negoziale del conflitto. Non ha avvicinato i prigionieri baschi – dispersi in centinaia di carceri tra Spagna, Francia e un’altra decina di paesi – a Euskal Herria; non ha scarcerato quelli in gravissime condizioni di salute; non ne vuole sapere di rinunciare alla ‘dottrina Parot’, un aberrante meccanismo che concede ai magistrati di prolungare di parecchi anni le condanne già scontate dai prigionieri politici.
E poi, negli ultimi mesi, su un negoziato già più che monco sono cadute due enormi tegole. A metà febbraio il governo della Norvegia ha espulso tre dirigenti dell’organizzazione armata – Josu Ternera, David Pla e Iratxe Sorzabal – incaricati di portare avanti trattative con il governo che Madrid non ha voluto mai iniziare. E poi pochi giorni fa, un incomprensibile annuncio da parte della cosiddetta Commissione di Verifica internazionale, un comitato composto da personalità di rilevanza internazionale che la Spagna non ha mai riconosciuto, e che però ha fatto sapere di concedere all’ETA solo fino a settembre per portare avanti un processo di smantellamento dei suoi arsenali che evidentemente non è possibile senza una contropartita da parte di Madrid. In caso di mancato disarmo entro settembre, ha fatto sapere Ram Manikkalingam a nome della Commissione, il comitato cesserà la sua azione di verifica sul processo negoziale e si scioglierà.
Proprio ieri un gruppo di 12 personalità di fama internazionale – tra i quali la senatrice colombiana Piedad Cordoba, Nora Morales delle madri di Plaza de Mayo, alcuni esponenti del Anc e dei movimenti antiapartheid sudafricani, il segretario della Federazione Sindacale Mondiale George Mavrikos ed altri – avevano diffuso un manifesto in cui chiedevano al governo spagnolo “di intraprendere il cammino della pace e di rispettare i diritti dei prigionieri”, incitando Madrid a liberare immediatamente il portavoce della sinistra basca, Arnaldo Otegi, da anni incarcerato per motivi di opinione.
Senza ottenere alcuna risposta da parte dell’esecutivo di Mariano Rajoy.
E ieri il lungo silenzio dell’ETA si è interrotto, con un lungo comunicato pubblicato dal quotidiano ‘Gara’ in cui l’organizzazione annuncia ‘conseguenze negative’ dopo che il governo spagnolo si è rifiutato di intavolare negoziati diretti con i suoi rappresentanti poi espulsi dalla Norvegia, episodio sul quale interviene diffusamente. Accusando il governo Rajoy di “distruggere lo spazio di dialogo e di negoziato” e di portare la trattativa indietro ‘ritardando così e rendendo difficile la risoluzione del conflitto’.
Nel comunicato l’organizzazione informa anche che la questione del disarmo non è mai stata inserita all’interno dei colloqui tra l’ETA e la Commissione Internazionale di Verifica.
Resta da vedere se il comunicato dell’organizzazione armata debba essere letto come un semplice altolà nei confronti di Madrid e Parigi o se invece espliciti un cambiamento di prospettiva rispetto al cammino intrapreso fin qui. Il comunicato, in realtà, conferma la volontà da parte dell’ETA di “lavorare per costruire una soluzione definitiva” e di mantenere l’attività della delegazione che ha designato a tale scopo. “Non cederemo di fronte alle difficoltà perchè Euskal Herria merita e ha bisogna di pace e libertà” dice nelle ultime righe il comunicato datata 17 marzo.
Sta di fatto che, se è vero che la pace si fa in due, Madrid non sembra affatto disponibile a compiere nessun passo concreto. E diventano sempre di più coloro, che all’interno della sinistra indipendentista basca, cominciano a ritenere che sia venuto il momento di pensare ad un ‘piano B’.
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