Qualcuno lo chiama il ‘Bobby Sands palestinese’, rievocando il guerrigliero irlandese lasciatosi morire in una galera britannica nel 1981 nel corso di un duro braccio di ferro con il governo coloniale britannico. ”Sono lo spettro che resterà con voi, che non andrà via” ha scritto dall’ospedale Kaplan (Rehovot) di Israele Samer Issawi, 44 anni, un combattente del Fronte democratico per la liberazione della Palestina, una delle organizzazioni marxiste della resistenza palestinese. ”Venite a trovarmi, a vedere uno scheletro legato al letto di ospedale, circondato da tre guardiani esausti”, stupiti – nota – nel vedere quel corpo ancora in vita.
E oggi alcuni intellettuali israeliani di fama internazionale – fra cui Amos Oz e A.B. Yehoshua – prendono a loro volta la penna in mano per implorarlo di ”non commettere un suicidio”. Un esito estremo che – affermano – coprirebbe di ”vergogna” lo Stato ebraico e accrescerebbe soltanto la disperazione fra quanti, in entrambi i popoli, si ostinano a cercare la pace. Nessuna critica però alla politica di annichilimento che Israele adotta contro i palestinesi nella risposta degli scrittori israeliani.
Nel 2002 Issawi fu riconosciuto colpevole da un tribunale d’occupazione israeliano di aver partecipato a ripetuti attacchi contro veicoli militari israeliani in transito in Cisgiordania, e di aver confezionato ordigni. Condannato a 26 anni di detenzione, é tornato in libertà nel 2011, grazie allo scambio di prigionieri concordato con Hamas per il rilascio del caporale Ghilad Shalit. Riacquistata la libertà, Issawi aveva fatto molti progetti, racconta. Voleva voltare pagina, studiare, sposarsi. Ma nel luglio 2012 é stato nuovamente arrestato. Formalmente, per una infrazione tecnica alle limitazioni di spostamento imposte dal tribunale alla sua liberazione. Nel frattempo nessuna ulteriore udienza, nessun processo. A quel punto Issawi ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame a oltranza. ”Io sono Samer Issawi – scrive con fierezza – l’ ‘Arabush’ ”, un termine ebraico con valore spregiativo nei confronti degli arabi. ”Il mio nobile spirito vi dichiara disobbedienza. Forse un giorno comprenderete che la consapevolezza di libertà supera la consapevolezza della morte”, avverte. Israele, secondo la stampa, gli ha offerto alla fine d’essere scarcerato e confinato a Gaza, o di esiliarsi in qualche paese dell’Unione Europea. Di togliersi di mezzo. Ma lui non si piega e replica: ”Non accetterò di essere espulso dalla mia terra”. Nella lettera agli intellettuali si chiede sbigottito come mai essi non abbiano, in questi mesi, fatto sentire la loro voce. E il suo grido, rilanciato da Haaretz col titolo ‘Lettera da uno spettro’, ha effettivamente scosso scrittori ed accademici che oggi pubblicano a loro volta con ”un appello e una protesta”.
”La sua morte – sentenziano all’unisono figure come gli scrittori Yoram Kanyuk e Sami Michael, lo storico della Shoah Yehuda Bauer, l’ex presidente della Knesset Avraham Burg, o il politologo Zeev Sternhell – sarebbe una vergogna per Israele. Esprimiamo tutto il nostro disgusto”. Una presa di posizione che non si può certo definire coraggiosa. Nell’Inghilterra della Thatcher furono molti di più e coraggiosi gli intellettuali che si schierarono contro il loro governo e a difesa dei diritti dei prigionieri politici irlandesi.
Solo una scrittrice, Ilana Hamerman, ha anche cercato di raccogliere l’invito di Issawi e di visitarlo in ospedale. Muovendosi di soppiatto é riuscita oggi a entrare: ma é stata subito scoperta e trascinata via a forza dagli aguzzini Israeliani. Chi sa se si vergognano anche di questo i suoi colleghi Oz e Yehoshua…
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