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Egitto, Fratellanza sotto tiro

Se la furia si fosse spenta lì il danno sarebbe – sic – limitato. Il quadro sociopolitico egiziano sembra ripetere da mesi il medesimo copione che non viene sbloccato né da rimpasti di governo come quello copioso avvenuto ai primi di maggio, né da nuove iniziative dell’opposizione laica che lancia una raccolta di firme per una nuova elezione del Capo dello Stato. Secondo fonti ufficiose le firme finora s’aggirano sui tre milioni, i promotori dell’iniziativa (Movimento 6 Aprile, Corrente Popolare, Partito Costituzionale) puntano ai 15 milioni di adesioni per spingere Mursi giù dallo scranno presidenziale, cosa peraltro non prevista da alcuna legge. Né governo né opposizione parlano invece delle elezioni politiche che dovevano svolgersi a primavera. Si terranno forse in autunno, ma tutto resta nel vago come se ognuno non volesse misurarsi col senso critico e l’insoddisfazione delle masse. 

Chi dovrebbe fare i conti col diffuso malcontento è certamente la Fratellanza Musulmana che guida la nazione, zigzagando fra promesse non mantenute, economia stagnante, finanziamenti esteri che giungono col contagocce e pesanti contropartite, tentativi parzialmente riusciti d’islamizzare maggiormente la Costituzione. La morsa a tenaglia della critica ha il duplice volto del fronte laico, che da mesi chiede la testa di Mursi, e quello salafita, che tempo fa quando si discorreva di consultazioni politiche e possibili alleanze aveva mostrato ipotesi di “avvicinamenti impossibili” fra Confraternita e gli intransigenti di Al-Gamaa Al-Islamya.  Un connubio giocato sul massimo profitto elettorale per entrambi, visto che il gruppo salafita Al-Nour rifiutava l’avvicinamento tattico al partito di governo, sicuramente per smarcarsi dal suo rapido logoramento istituzionale. Nello scorso dicembre la casa madre dei salafiti aveva perso un gran numero di quadri politici per effetto delle scissioni operate da due figure storiche: Ghafour, che fondava il Salafi Watan Party e Ismail, creatore della Free Homeland Alliance. Ovviamente i due gruppi avrebbero flirtato in occasione delle politiche su posizioni definite “moderate”. 

In assenza di date per quella scadenza questi e altri intrecci dell’urna sono stati riposti mentre non cessano i richiami teorici all’islamismo che secondo i laici soffoca una nazione sempre stata fedele ma mai integralista, e secondo salafiti e cristiani ora minacciata dall’amoralità e dall’intolleranza. Quest’ultima viene reclamata dai copti che si sentono schiacciati dalla preponderanza musulmana, seppure anche appartenenti a talune famiglie cristiane fomentino gli scontri interreligiosi che periodicamente si sviluppano con logiche settarie. L’attacco all’incoerenza della Fratellanza che guida il Paese viene da alcuni imam salafiti pronti a rimproverare al premier recenti concessioni triennali riguardo all’uso del cabaret nei luoghi e locali per turisti, un segnale di lassismo e scarso senso etico, lontanissimi dai princìpi coranici cui la Brotherhood dice d’ispirarsi. “E’ un po’ come per la liberazione di Gerusalemme – afferma l’ultraconservatore Salafita Call – cui periodicamente i leader della Fratellanza si richiamano ma solo sui canali satellitari a uso e consumo della propria propaganda”. E soffiando sul fuoco della già tesa convivenza interreligiosa, il ramo wahabbita che negli ultimi anni caratterizza una parte del salafismo egiziano, accusa il governo di aperture all’Iran (avvenute soprattutto per ragioni economiche). Non si tollera che lo sciismo infedele possa “inquinare” l’islam di casa.

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