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* Roma, 18 maggio 2013, Nena News
11 maggio 2013, ore 14 circa, Reyhanli, cittadina turca al confine con la Siria: due autobombe esplodono nella centralissima Ataturk Boulevard provocando circa 50 morti e più di 100 feriti. Questa la sintetica descrizione di un evento che, lungi dall’essere un mero fatto di cronaca, rischia di diventare fattore scatenante di una nuova turbolenza per la Turchia e per l’area nel suo complesso.
L’evento ha, infatti, reso palese una situazione di instabilità latente da molti mesi nel Paese e le conseguenze di questo singolo avvenimento potrebbero essere di significativa importanza per la tenuta del Governo di Ankara. In questo senso non stupisce l’immediata reazione dell’establishment turco che, per bocca del Ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, si è affrettato ad indicare nel Governo siriano il mandante e nel THKP/C (Fronte Popolare di liberazione della Turchia) e nella sua frangia più estrema Acilciler (Urgentisti), gli autori materiali della strage.
Secondo questa versione, l’azione, pagata dagli ambienti siriani fedeli a Bashar Al Assad, sarebbe stata perpetrata da membri del piccolo partito di ispirazione marxista per destabilizzare le provincie di confine e indurre ritorsioni delle popolazioni locali contro i profughi siriani presenti sul territorio. Le possibili azioni di questo gruppo nella provincia di Hatay, dove Reyhanli si trova, erano già state prese in considerazione a settembre dell’anno passato. In un articolo di approfondimento di uno dei maggiori quotidiani turchi sui legami tra Siria, Iran e THKP/C veniva, a tal proposito, sottolineato come una azione coordinata di potenze straniere e partiti rivoluzionari locali avrebbe potuto avere un impatto molto forte in un’area che, oltre ad avere un’altissima presenza di profughi siriani (circa 40000 nella sola Reyhanli), vede la presenza di minoranze etniche e religiose (Alawiti ed Aleviti) non prive di motivi di attrito con il Governo centrale.
La versione di Ankara non è, però, condivisa dagli altri attori. Damasco ha negato ogni responsabilità nell’attentato, proponendo una commissione di inchiesta congiunta per far luce sui fatti. Commissione che è stata categoricamente rifiutata dal Presidente turco Recep Tayyip Erdogan in quanto il Governo siriano non viene ritenuto legittimo. Mihrac Ural, figura di spicco di Acilciler, accusato anche della strage di Banias nel nord della Siria, avrebbe affermato la propria estraneità ai fatti, dichiarando che Acilciler non esiste più e che i responsabili devono essere ricercati tra coloro che vorrebbero indurre un intervento turco ed internazionale in Siria, Israele in primis.
Ci sono, infine, le prese di posizione delle diverse componenti della società turca. Alcuni parlamentari dell’opposizione, come Levent Tüzel del BDP (Partito Curdo per la Pace e la Democrazia) o Hasan Akgöl del CHP (Partito Popolare Repubblicano), hanno affermato che la responsabilità è da imputare all’Esercito Libero Siriano che, attraverso l’attacco, cercherebbe di indurre un cambio di strategia del Governo turco in senso interventista.
Secondo questa versione l’attentato, avvenuto pochi giorni prima della visita di Erdogan negli Stati Uniti, avrebbe potuto essere di stimolo per una presa di posizione più dura delle forze internazionali contro Assad. Bisogna sicuramente sottolineare anche che in molte aree della Turchia e, in particolar modo, nella provincia di Hatay, ad Istambul e nella capitale si è assistito ad importanti manifestazioni di protesta contro le politiche del Governo rispetto alla questione siriana.
Se ad Reyhanli il dissenso è sfociato in moti violenti contro parte dei siriani presenti sul territorio, ad Ankara ed Istambul sono stati gli studenti a scendere in piazza e a chiedere le dimissioni del Ministro degli Esteri Davutoglu per le scelte degli ultimi mesi a favore dei ribelli siriani. La situazione è, dunque, particolarmente delicata. In primo luogo, l’attentato, per quanto il Governo turco abbia categoricamente negato la possibilità di un suo intervento diretto in terra siriana, potrebbe portare ad un ulteriore irrigidimento dei rapporti tra i due Paesi e ad una richiesta di innalzamento del livello di attenzione-azione delle potenze internazionali.
In seconda battuta la crisi siriana rischia di tracimare in Turchia con effetti difficilmente prevedibili dal punto di vista dei rapporti tra popolazioni locali e profughi siriani. L’eterogeneità delle etnie presenti in quest’area di confine connessa con la presenza di retroguardie armate dell’ESL e di altri gruppi di opposizione al governo Assad come i Jihadisti di AlNusra potrebbe, infatti, portare ad un inasprimento delle tensioni con conseguente estensione della crisi siriana al territorio turco e balcanizzazione dell’area.
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