Nonostante le ripetute denunce lanciate nel corso degli ultimi mesi da parte delle Giunte del Buon Governo e a dispetto della retorica delle autoritá messicane, che parlano di riconciliazione e rispetto dei diritti dei popoli originari, procede indisturbata ed aumenta d’intensitá la violenza ai danni delle comunitá indigene resistenti in Chiapas.
Il brutale omicidio di Juan Vázquez Gómez, portavoce della Sexta zapatista della comunitá di San Sebastián Bachajón, lo scorso 24 aprile, rappresenta infatti un preoccupante salto di qualitá nella strategia controinsorgente e riporta la tensione a livelli che non si vedevano da tempo.
Ad essere nell’occhio del ciclone, in particolare, é il municipio di Chilón, situato nella zona nord dello stato, dove continue minacce ed aggressioni colpiscono da tempo le comunitá tzeltal di San Sebastian Bachajón e Jotolá, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, e di San Marcos Avilés, base d’appoggio dell’Ezln.
Nodo del contendere: il controllo di un territorio ricco di risorse e potenzialmente molto redditizio per l’industria del turismo e non solo. Juan Vásquez si aggiunge dunque all’elenco delle vittime del conflitto per il territorio che si sta dando nel Paese e che vede contrapporsi gli interessi dei capitali nazionali e globali, da una parte, e quelli delle comunitá indigene e contadine, dall’altra.
Da sempre in prima linea nella lotta per la difesa del territorio – per cui ha pagato anche con un’ingiusta detenzione -, Juan é stato freddato sulla porta di casa da sei proiettili di alto calibro, sparati da un commando che si é poi dileguato a bordo di un pick-up rosso. Aveva 32 anni, era sposato e padre di due bambini. Era stato nominato coordinatore de La Otra Campaña della zona ed era uno dei portavoce piú autorevoli degli ejidatarios (da ejido: forma di propietá collettiva della terra) di Bachajón.
Una settimana prima di essere assassinato, aveva denunciato insieme ai suoi compagni la “politica ufficiale di spoliazione” delle comunitá portata avanti dai governi statale e federale, nonché le ultime minacce subite. Ricordando come, dal 2007, cioé da quando gli ejidatarios hanno iniziato ad autoorganizzarsi, siano stati costantemente vittime di sgomberi, detenzioni, persecuzioni e aggressioni solo perché si sono rifutati “di prostituire le proprie terre”.
Secondo la Red Contra la Represión, si tratta con tutta evidenza di un “omicidio politico, che risponde ai molteplici interessi impresariali, politici ed economici presenti nella zona”. Ma quali sono questi interessi? Per capirlo, basta dare un’occhiata al paesaggio circostante. La zona in questione, in effetti, si trova tutt’attorno alla famosa Riserva della Biosfera delle Cascate di Agua Azul, una delle meraviglie naturali della regione, intorno alla quale il governo vorrebbe costruire l’ennesimo non-luogo ad uso e consumo del buisiness del turismo internazionale, e all’interno del quale le popolazioni tzeltal e ch’ol che da sempre abitano il territorio sarebbero solo un intralcio, o avrebbero, al limite, un ruolo meramente folkloristico.
La grande opera, che si inserisce nel contesto del piú generale Proyecto Integración y Desarrollo Mesoamerica (la versione realoaded del famigerato Plan Puebla-Panamá), é assai ambiziosa e mira alla costituzione di quello che il FoNaTur, ente del Ministero del Turismo, definisce un Centro Turistico Integralmente Pianificato, il cui modello di riferimento é Cancun (sic). L’idea é quella di creare un corridoio “eco-turistico” che unisca Palenque a San Cristobal e possa valorizzare – in senso capitalistico, evidentemente – le ricchezze archeologiche e naturali della zona trasformandole in risorse per il mercato mondiale.
Oltre all’autostrada che collegherá i due importanti centri che formano la cosidetta porta al mondo maya, é prevista la costruzione delle svariate strutture (ville, hotel, ristoranti, parcheggi, negozi, centri commerciali, discoteche, ma anche parchi tematici, istallazioni sportive e culturali, centri benessere, ecc…) che avranno il compito di accogliere i milioni di turisti che,secondo le previsioni, dovrebbero visitare la regione.
Sebbene la vulgata ufficiale insista sulla sostenibilitá ambientale del mega-progetto e sulle benefiche ricadute occupazionali ed economiche che ne deriverebbero per le comunitá indigene, la sua messa in opera implicherebbe, in realtá, l’esproprio dei territori comunitari e la completa distruzione dell’ecositema.
Secondo un documento del Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, inoltre, tra le grandi opere sarebbe prevista anche la costruzione di una diga idroelettrica sui fiumi Agua Azul, Tulijá e Bascán, che espropierebbe “le comunitá delle loro risorse naturali piú importanti”. Entriamo quí nel merito di un altro importante elemento in gioco nella disputa per il territorio chiapaneco: quello legato alle risorse strategiche, ossia alla ricchezza in termini di terra, petrolio, legna, minerali e biodiversitá che caratterizza la regione, la quale, di conseguenza, suscita l’interesse non solo dell’industria del turismo e del mattone, come abbiamo visto, ma anche di quella mineraria, del farmaco e della green economy, per fare solo qualche esempio.
Questi, in definitiva, gli interessi economici principali che spingono per “modernizzare ” l’area e trasformarla in un “polo eco-turistico di livello mondiale”. Ad essi, tuttavia, si accodano di buon grado i rappresentanti dei tre livelli di governo, corresponsabili, perché indifferenti o complici, della violenza paramilitare contro le comunitá in questione. Violenza che viene portata avanti da organizzazioni locali che, secondo la Red por la Paz Chiapas (gruppo di organizzazioni che ha effettuato una carovana di osservazione nella regione), sono legate al Pri, al Prd e al Partito Verde e che fanno parte di una piú complessiva strategia controinsorgente che ha come obiettivo finale quello di eliminare l’anomalia delle comunitá autonome zapatiste e filozapatiste presenti sul territorio.
Le minacce e le aggressioni subite dalle comunita di Bachajón, Jotolá e Avilés (contro la quale sono stati registrati venti attacchi negli ultimi due anni, secondo una recente denuncia del Caracol di Oventic ) rappresentano quindi solo un aspetto di una strategia piú generale che punta a sfiancare le resistenze comunitarie attraverso una serie piú articolata di interventi che vanno al di lá della violenza paramilitare e della repressione poliziesca e coinvolgono aspetti economici ed assistenziali.
Stiamo parlando dei progetti sociali statali o federali, come la controversa Crociata Contro La Fame rilanciata proprio in Chiapas una settimana prima dell’uccisione di Juan dal presidente Peña Nieto e da Lula, attraverso la quale il governo punta alla creazione di nuove clientele usando gli aiuti economici come un grimaldello per dividere le comunitá, in uno degli stati piu poveri del Paese. D’altra parte, l’inazione e la complicitá delle autoritá statali e municipali nei confronti dei gruppi paramilitari, riproducono la pratica ormai ampiamente rodata con cui vengono fomentati i conflitti locali per poter poi giustificare l’intervento repressivo e la militarizzazione del territorio.
Un’assemblea contadina (Video)
Oltre alla comunitá menzionate, sono a rischio sgombero anche gli ejidos di Tila e Mitzitón, aderenti alla Sexta. Ed é da segnalare, infine, l’aumento della violenza anche in altre zone dello stato, come nel municipio di Venustiano Carranza dove nelle ultime settimane un conflitto tra organizzazioni locali ha causato la morte di cinque persone.
L’aumento della tensione nella regione, al di lá degli obbiettivi specifici delle azioni violente, non puó che essere interpretata come parte di un processo che, alla lunga, mira a colpire i territori autonomi zapatisti, considerati non solo come un ostacolo agli investimenti ma anche come un esempio di costruzione di alternative altamente contagioso e, di conseguenza, da rimuovere.
La disputa per il territorio, tuttavia, non é una prerogativa solo chiapaneca. Al contrario, importanti conflitti per la difesa del territorio da mega-progetti sono all’ordine del giorno in tutto il Paese. Che si tratti di una miniera a cielo aperto o di un centro commerciale, di un hotel, una supervia o di un impianto per la produzione di energia pulita, decine di grandi opere minacciano l’esistenza delle comunitá indigene e di diversi ecostistemi.
Alle risposte organizzate delle comunitá locali, le quali, quí come in Va di Susa non rimangono certo a guardare il saccheggio dei propri territori, si risponde spesso con violenza, arresti e repressione. Tanto che, il 24 maggio, il Foro Permanente sulle Questioni Indigene dell’Onu, oltre ad invitare il governo messicano a “farsi garante” della protezione dei diritti dei popoli originari contro gli abusi delle imprese minerarie, gli ha raccomandato di “fermare la criminalizzazione delle proteste dei popoli indigeni” e di “punire i responsabili dei crimini commessi contro i loro leader”.
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