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Turchia: rimangono in carcere i generali ‘golpisti’

Una corte di Istanbul ha nuovamente negato nel fine settimana la libertà a 67 alti ufficiali dell’esercito, giornalisti, parlamentari, intellettuali, alcuni dei quali in detenzione preventiva da oltre 5 anni, imputati nel processo Ergenekon e accusati di avere pianificato un presunto tentativo di colpo di stato contro il governo islamico, riferisce Hurriyet online.
Il loro rilascio era stato chiesto dagli avvocati dopo che dieci giorni fa la Corte Costituzionale ha annullato una disposizione del codice penale adottata all’inizio dell’anno dal parlamento di Ankara che consente di mantenere in detenzione preventiva fino a 10 anni senza una condanna le persone accusate di presunti reati di terrorismo o contro la sicurezza.
Fra i 67 detenuti di cui era stato chiesto il rilascio figurano l’ex-capo di stato maggiore Ilker Basbug, il rettore dell’università di Baskent Mehmet Haberal, il deputato del principale partito di opposizione Chp, Mustafa Balbay, e il giornalista Tuncay Ozkan. Il processo Ergenekon é stato denunciato dall’opposizione come una ‘caccia alle streghe’ contro i vertici militari laici e contro personalità dissidenti orchestrata dal governo del premier liberal-islamista Recep Tayyip Erdogan. Il tribunale di Istanbul ha respinto la richiesta di rimessa in libertà degli accusati sostenendo che la Corte Costituzionale ha annullato le disposizioni che consentono la detenzione preventiva fino a 10 anni ma che non le ha sostituite con un nuovo tempo massimo. Il presidente dell’Unione degli avvocati turchi (Tbb) Metin Feyzioglu ha denunciato la decisione dei magistrati di Istanbul perchè in contrasto con i principi di protezione dei diritti fondamentali della persona.
Ergenekon è il nome dato ad una presunta organizzazione clandestina turca di stampo kemalista e ultra nazionalista, con legami con membri delle forze militari e di sicurezza del paese, che ha portato nella seconda metà del primo decennio del duemila alla decapitazione delle forze armate e di ambienti politici ed economici ostili al governo dell’Akp. Per gli islamisti si sarebbe trattato di un piano concertato anche con forze straniere  – ad esempio gli Stati Uniti – mentre per le opposizioni parlamentari si tratterebbe di una montatura utile al governo dell’Akp per togliere di mezzo in maniera drastica gli oppositori in diversi gangli dello Stato.
Ma secondo alcune analisti l’Akp avrebbe soltanto utilizzato a propri fini e amplificato l’effettiva esistenza di una rete clandestina formata da militari, mafiosi, magistrati, uomini politici e imprenditori il cui fine era non solo di contrastare il governo, ma anche di colpire ambienti politici di sinistra e progressisti, intellettuali dissidenti e giornalisti indipendenti, dirigenti curdi e aleviti. Una rete espressione di quello ‘stato profondo’ che ha sempre governato la Turchia dalla fondazione della Repubblica Kemalista, di quelle istituzioni parallele al governo e al parlamento da sempre dominate dai militari e da una ristretta elite di censori e oligarchi che ha per decenni sorvegliato la precaria democrazia turca. Una struttura clandestina che in molti hanno paragonato alla rete Gladio attivata nell’Europa Occidentale dagli Stati Uniti in funzione anticomunista nell’ambito della cosiddetta Guerra Fredda.
Un governo parallelo che naturalmente i liberal-islamisti si sono affrettati a contrastare e smobilitare, memori dei tanti colpi di stato attuati dai militari e dal ‘deep state’ contro forze politiche non conformi all’ideologia ufficiale. L’ultimo dei quali, seppur incruento, nel 1996-1998 aveva portato all’invalidazione delle elezioni vinte dall’islamista Partito del Benessere e al suo scioglimento.

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