Per più di un anno hanno compiuto aggressioni e omicidi ai danni della comunità Rom, potendo contare sulla distrazione della polizia. Oggi tre neonazisti sono stati condannati all’ergastolo.
E’ sempre più pesante il clima in Ungheria nei confronti della principale minoranza del Paese, quella rom. Anche perché al governo c’è un movimento di destra, teoricamente ‘liberale’ guidato da Viktor Orban, che non fa mistero di richiamarsi a una concezione xenofoba e autoritaria, e all’opposizione c’è un partito dichiaratamente fascista e razzista, lo Jobbik, dotato di squadracce paramilitari più volte entrate in azione. Pochi mesi fa il giornalista Zsolt Bayer, considerato vicino alle posizioni del premier Orban, ha dato degli “animali” ai Rom, affermando che “non dovrebbero più essere tollerati”.
Gli ultimi anni sono stati costellati di aggressioni, roghi e persino omicidi. Oggi un tribunale di Budapest ha decretato che quattro estremisti di destra sono responsabili dell’uccisione di sei persone, tra le quali un bambino. Arpad e Istvan Kiss e Zsolt Peto sono stati condannati all’ergastolo, mentre Istvan Csontos sconterà una pena di 13 anni per complicità. Il gruppo di nazi-skin si era coagulato attorno alla squadra di calcio del Debrecen, nell’Ungheria nord-orientale. I due Kiss sono fratelli. Con gli altri due hanno elaborato il loro piano nazista di sterminio dei rom in un pub della città magiara. Da quell’incontro è scaturita una scia di attacchi che tra il 2008 e il 2009 ha provocato molti lutti alla folta comunità rom magiara. Furono 14 mesi terribili: di notte il gruppo di assassini assaltava le aree in cui vivevano i rom nell’Ungheria centrale e nord-orientale. L’attacco più feroce fu quello in cui morirono un papà e un bambino di cinque anni, colpiti alle spalle da colpi di arma da fuoco mentre cercavano di scappare dalla casa a cui la banda nazista aveva dato fuoco. In un altro, orribile caso, una donna fu uccisa a sangue freddo, mentre dormiva. Alla fine, le vittime della ferocia nazista di questo gruppo sono state sei, mentre altre cinque persone sono rimaste gravemente ferite. Alla base delle loro azioni, l’odio razziale e una delirante “strategia della tensione”: speravano – secondo la ricostruzione fatta dall’accusa – di provocare una reazione violenta da parte dei rom in maniera da produrre un conflitto etnico con gli ungheresi. Un piano che ha potuto, denunciano le famiglie delle vittime, giovarsi della lentezza nelle indagini da parte della polizia, all’interno della quale, non è un mistero, i simpatizzanti e i militanti dei movimenti di estrema destra non sono pochi. Per lungo tempo, nonostante l’evidenza, la polizia non ha seguito la pista dei delitti motivati dall’odio etnico e contraddistinti da una chiara matrice politica. Addirittura, in uno dei delitti, la polizia non ha isolato la scena del crimine per qualcosa come 12 ore, perdendo così importanti prove.
Il processo nei confronti dei quattro, nel paese, è stato seguito con indifferenza dalla maggior parte dell’opinione pubblica e del mondo politico. L’allora presidente dell’Ungheria, László Sólyom, non aveva condannato i tremendi fatti, mentre i socialisti, all’epoca al governo, avevano tenuto una posizione piuttosto fredda.
I quattro imputati hanno ammesso il coinvolgimento negli attacchi, ma si sono dichiarati non colpevoli per le uccisioni. Hanno ascoltato il verdetto della corte, restando impassibili. Un importante apparato di polizia era presente nel tribunale, anche perché centinaia di persone si sono recate presso l’aula per ascoltare la sentenza. Molti indossavano magliette anti-razziste. Alcuni, all’esterno del tribunale, hanno urlato: “Assassini nazisti”. La minoranza rom in Ungheria rappresenta tra il 6 e l’8 per cento della popolazione totale e occupa le posizioni più basse nella scala sociale. E funge da facile capro espiatorio per le tensioni sociali, che sono pesanti in un paese fiaccato dalla crisi economica e da anni di austerità.
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