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Crisi: l’Europa orientale a picco

L’Europa occidentale è in crisi, e non ci era abituata. Dopo il crollo del ‘campo socialista’ il capitalismo ha festeggiato per qualche anno la storica vittoria a suon di economia finanziarizzata e speculazione. Ma poi la pacchia è finita ed ora il tasso di disoccupazione aumenta, i giovani sono tornati ad emigrare verso nord e verso ovest, la qualità della vita e del lavoro sono precipitati. Ma neanche ad est va meglio. Anzi. Ed anche li non se l’aspettavano: il capitalismo non era il migliore dei mondi possibili? 

Alcuni dati diffusi in queste ore parlano da soli. Secondo un sondaggio realizzato dall’istituto Tarki quasi la metà degli ungheresi vive in famiglie caratterizzate da condizioni di povertà, disoccupazione e privazione di diritti sociali. Secondo l’istituto Tarki nel 2012 il 17,7% degli ungheresi ha vissuto entro la soglia di povertà corrispondente alla condizione di chi guadagna al mese il 60% del salario medio (che in Ungheria non è proprio una cifra da capogiro). Il dato rilevato relativamente al 2012 sarebbe quello più alto negli ultimi 22 anni. L’istituto sostiene che il 19,1% degli ungheresi appartiene alla fascia dei working poor e che il 36,7% vive in condizioni caratterizzate da privazioni importanti ossia in un contesto nel quale vengono a mancare quattro dei nove indici di benessere che comprendono per esempio la possibilità di beneficiare di un adeguato impianto di riscaldamento, il possesso di una macchina o la possibilità di fare vacanze annuali. Tarki ha calcolato che circa il 47% degli ungheresi vive in famiglie che rientrano in almeno una delle tre casistiche precedentemente menzionate e che l’8,1% dei nuclei familiari magiari sperimenta tutte e tre le condizioni. L’Ufficio Centrale di Statistica (KSH) ha ottenuto un tasso di povertà del 32% per il 2011, quello medio dell’Unione europea è stato del 24%. Ma l’Ungheria, in fondo, non è neanche il paese dell’Europa dell’Est che sta peggio. Cifre peggiori di quelle di Budapest sono state riscontrate in paesi quali la Bulgaria (48%), la Lettonia e la Romania (40%), la Croazia e la Lituania (33%).

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