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L’Argentina resiste e trova solidarietà

L’Argentina ha ottenuto un notevole appoggio nella sua battaglia contro gli hedge fund che non hanno accettato la ristrutturazione del suo debito, ma la solidarietà espressa non solo dai paesi latinoamericani ma anche da Francia, Usa e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) non è servita per fermare il conto alla rovescia che potrebbe portarla nuovamente a un default alla fine del mese di luglio.

Ieri l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), dopo il Mercosur, il G77+Cina e i principali governi del subcontinente – Brasile, Cile, Venezuela – ha assicurato a Buenos Aires il suo appoggio «perchè possa continuare a onorare i suoi impegni pagando il suo debito e si possa arrivare a un accordo giusto, equo e legale con il 100% dei suoi creditori». In un comunicato approvato da una riunione straordinaria, l’Osa ha sottolineato che «risulta essenziale per la stabilità dell’architettura finanziaria internazionale che si garantisca che siano rispettati gli accordi fra debitori e creditori nel quadro della ristrutturazione dei debiti sovrani, permettendo che i pagamenti siano distribuiti secondo i termini accordati».

Thomas Griesa, il giudice americano che si occupa del caso, ha bloccato il pagamento degli interessi ai detentori di titoli che hanno accettato il concambio dei bond argentini finchè non ci sarà un accordo con gli hold out, dopo che l’Argentina ha depositato 539 milioni di dollari per coprire il pagamento di bond ristrutturati alla scadenza prevista, ossia entro il primo luglio. Dopo questa decisione del magistrato, Buenos Aires dispone di un periodo di grazia fino al 31 luglio per arrivare a un accordo con i fondi, oppure tornerà a cadere in default. Griesa ha anche designato un «special master» per seguire la trattativa con gli hedge fund, che incontrerà lunedì prossimo una «delegazione di alto livello» dell’Argentina.

Buenos Aires continua però giustamente a negare la possibilità di una negoziazione diretta con quelli che il governo di Cristina Fernandez de Kirchner definisce «fondi avvoltoio». È per questo che il ministro argentino dell’Economia, Axel Kicillof, ha detto ieri ai paesi dell’Osa che «non veniamo a chiedervi prese di posizione, bensì misure urgenti». La dichiarazione finale della riunione di ieri sottolinea che non esistono al momento «strumenti che permettano accordi ragionevoli» in materia di ristrutturazione dei debiti sovrani.

E in assenza di questi strumenti può accadere che un piccolo numero di “avvoltoi”, grazie a un giudice compiacente degli Stati Uniti (un “arbitro” che nessuno vorrebbe), “disponga” di un paese intero e degli equilibri che reggono l’economia di almeno un continente. L’eventuale default argentino, infatti, avrebbe conseguenze pesanti non solo per Buenos Aires, ma per tutta l’America Latina.

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