Elicotteri iracheni hanno lanciato oggi aiuti alimentari a migliaia di iracheni yazidi nascosti nelle montagne desertiche del nord-ovest del paese, dove ora rischiano di morire di fame o di sete, se non vengono uccisi dai jihadisti dell’autoproclamato califfato islamico che domenica scorsa hanno conquistato la loro città, Sinjar.
Una deputata yazida è scoppiata a piangere durante una seduta del parlamento di Baghdad, implorando il governo e la comunità internazionale a intervenire per salvare i membri della sua comunità. “Nelle ultime 48 ore, 30.000 famiglie sono state assediate sulle montagne di Sinjar, senza acqua nè cibo – ha denunciato Vian Dakhil – 70 bambini sono già morti di sete, così come 30 anziani”. Dakhil ha quindi riferito dell’uccisione di 500 uomini yazidi da parte dei jihadisti durante la conquista della città di Sinjar e dei villaggi vicini. Le loro donne sono state prese come schiave in quanto “bottino di guerra”.
“Veniamo massacrati, la nostra religione viene cancellata dalla faccia della terra. Vi imploro, in nome dell’umanità”, ha concluso la deputata in lacrime.
A Sinjar avevano trovato rifugio anche centinaia di famiglie turcomanne sciite, un’altra minoranza irachena, fuggite da Tal Afar, una cinquantina di chilometri più a est, già caduta sotto il controllo dei jihadisti il 23 giugno. Ali al-Bayati, un attivista per i diritti dei turcomanni, aveva riferito ieri di “500 famiglie turcomanne sciite fuggite”, di cui “circa 100 o più hanno raggiunto un cementificio situato a 15 chilometri a Sinjar… e sono ancora lì e non hanno nulla. Hanno bisogno di aiuto”.
Sinjar (Sengal), la città considerata sacra dalle popolazioni curde di religione Yezida, è stata occupata nella notte del 2 Agosto dai gruppi armati dello Stato Islamico. L’occupazione della città ha costretto alla fuga circa 200.000 curdi Yezidi e turkmeni sciiti.
Dopo essere state abbandonate al loro destino dai combattenti peshmerga agli ordini del governo del nord dell’Iraq che hanno dovuto ripiegare sotto i colpi dei fondamentalisti sunniti, migliaia di persone hanno abbandonato le proprie abitazioni per sfuggire ai massacri e alle persecuzioni. In migliaia stanno ancora cercando di fuggire dalle crudeltà dello Stato Islamico cercando riparo sul monte Jabal senza avere però nessun accesso a cibo e acqua.
Si profila una vasta tragedia umanitaria. Decine di Yezidi – giudicati “apostati” dagli estremisti sunniti – sono stati giustiziati negli scorsi giorni a Sinjar e nei villaggi dai gruppi islamisti. Decine di donne sono state rapite e migliaia di Yezidi sono costretti con la violenza a convertirsi all’Islam e minacciati di morte in caso di rifiuto.
La Rete italiana di solidarietà con il Kurdistan ha lanciato un appello all’opinione pubblica ad esprimere solidarietà alle popolazioni curde Yezide, a denunciare l’abbandono cui sono lasciate le popolazioni civili nel silenzio internazionale e a sostenere le forze curde di autodifesa, le uniche che stanno fronteggiando le milizie legate ad Al Qaeda. “Sollecitiamo gli organismi internazionali e il governo italiano ad intervenire e a sostenere tutte le iniziative necessarie per evitare una tragedia umanitaria di vaste proporzioni, per mettere fine ai crimini contro l’umanità commessi da IS e per assumere provvedimenti nei confronti di tutti i paesi che li sostengono” si legge nell’appello diffuso ieri.
Intanto il premier iracheno Nuri al-Maliki ha ordinato all’aviazione irachena di fornire supporto aereo ai combattenti curdi – i Peshmerga – stremati da settimane di combattimento contro le forze integraliste nel nord dell’Iraq e nello stesso Kurdistan iracheno. “Il comandante in capo delle forze armate ha diramato l’ordine al comando dell’aeronautica e alle unità aeree dell’esercito di fornire supporto aereo alle forze Peshmerga”, ha detto il portavoce del governo di Baghdad.
La caduta di Sinjar e di altre città nel finesettimana minaccia un’ulteriore assimilazione dei territori curdi iracheni nel cosidetto “califfato” proclamato a giugno dal leader dello Stato islamico Abu Bakr al Baghdadi.
Di fronte alla grave situazione il partito del lavoratori del Kurdistan (Pkk) che da trent’anni combatte contro le forze armate della Turchia ha invitato ieri tutti i gruppi armati curdi a unirsi per sconfiggere i jihadisti. “I nostri sforzi da soli non bastano. Ci vuole uno sforzo congiunto” contro lo Stato islamico, ha detto il capo militare del the Pkk, Murat Karayilan, al quotidiano di sinistra turco Radikal.
“Formiamo un comando congiunto. Prepariamoci e spingiamo lo stato Islamico fuori dalle aree che ha occupato, anche Sinjar. E’ possibile” ha detto Karayilan.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa