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Duello a Baghdad, gli Stati Uniti armano i curdi iracheni

La strategia statunitense dopo l’invasione e l’occupazione dell’Iraq ha funzionato, anche troppo. Mentre a nord le bande jihadiste dilagano e gli Stati Uniti sono stati “costretti” a intervenire di nuovo militarmente, nella capitale va in scena lo psicodramma dello scontro al vertice tra sciiti, curdi e sunniti, con Washington che insiste per un governo di unità nazionale e la defenestrazione del premier Nouri Al Maliki, considerato settario e, soprattutto, troppo filo-iraniano.
Quando ieri Al Maliki si è reso conto della manovra ha schierato le truppe e i reparti di polizia a lui fedeli a difesa della ‘zona verde’, il centro politico di Baghdad, e non è chiaro se a minacciare il golpe sia stato lui oppure se abbia semplicemente mosso le sue pedine per evitare di esserne vittima.
Il premier uscente e vincitore – anche se non di molto – delle ultime elezioni politiche ha accusato il presidente della repubblica, il curdo Fuad Masum, di violare la costituzione visto che non si decideva ad affidargli l’incarico di formare un nuovo governo e, a sostenere la sua posizione, è arrivata una sentenza della Corte Federale di Baghdad.
Ma già nella giornata di ieri si è capito che il meccanismo messo in campo dai suoi detrattori stava girando a pieno regime. Dalle dichiarazioni dei rappresentanti degli Stati Uniti – che hanno invitato esplicitamente Al Maliki a “non creare problemi” – passando per quelle dei responsabili dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, finché la coalizione di partiti che rappresentano le comunità sciite – compreso l’influente predicatore Moqtada al Sadr – non ha deciso di scaricare il premier uscente ed indicare un altro esponente sciita, l’attuale vicepresidente del Parlamento Haider al Abadi, come incaricato di formare un nuovo esecutivo con il consenso anche dei curdi e dei sunniti.
Ma Al Maliki tiene duro, insiste che il presidente Masum non può violare la costituzione e non tenere conto del parere della Corte Federale di giustizia (che però non sembra così compatta come era sembrato ieri) e rifiuta di dimettersi, incassando anche il ripensamento di alcune delle forze politiche sciite che precedentemente sembravano orientate ad abbandonarlo. Di fatto a Baghdad la situazione è ora di stallo, con due premier, entrambi sciiti. Uno dei quali, Abadi, ha ricevuto una telefonata personale di Barack Obama che vale come una vera e propria “investitura internazionale”. 
Approfittando dell’emergenza creata a nord dal dilagare dei miliziani jihadisti che Washington e le petromonarchie sunnite hanno a lungo sostenuto e finanziato, l’amministrazione Obama ha deciso ieri di incrementare il proprio intervento. E così mentre caccia e droni realizzavano alcuni timidi bombardamenti sulle postazioni dello Stato Islamico i militari statunitensi presenti ad Erbil hanno cominciato a consegnare armi ed equipaggiamenti ai combattenti curdi agli ordini del governo regionale. Un modo per far pesare la propria presenza nel paese e indebolire l’autorità e la credibilità di Al Maliki oltre che per evitare il rafforzamento delle milizie popolari ispirate nel Kurdistan iracheno dai guerriglieri curdi di Siria e Turchia che hanno dato in questi mesi agli estremisti dello Stato Islamico assai più filo da torcere dei peshmerga di Erbil. I classici due piccioni con una fava, il sempreverde ‘divide et impera’ di Washington che ieri, tramite il capo del Pentagono Chuck Hagel ha assicurato: «Continueremo a sostenere i curdi in ogni possibile maniera» mentre a proposito del presidente curdo Masum il Segretario di Stato John Kerry afferma che «Favorisce la stabilità». Ma è esattamente l’instabilità che l’amministrazione Obama cerca di mantenere nell’area, quell’instabilità che permetta a Washington di difendere e ampliare la propria presenza e la propria influenza nell’area, impedendo il rafforzamento delle correnti curde di sinistra e la saldatura di un’alleanza antijihadista che oltre agli sciiti potrebbe comprendere anche i cristiani e quelle parti delle comunità sunnite che osteggiano l’affermazione del Califfato di Al Baghdadi. 

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