Sabato alcuni portavoce delle forze curde impegnate nella difesa del Rojava dall’assalto islamista avevano dato Kobane per completamente liberata ed in effetti le Ypg e le Ypj – Unità di Difesa Popolare e Unità di difesa delle Donne – avevano rioccupato numerosi quartieri della città abbandonati dai fondamentalisti sunniti.
Ma poi ieri i combattimenti sono esplosi di nuovo e assai intensi, segno che le bande dello Stato Islamico sono ancora infiltrate in alcune propaggini della località e dei suoi dintorni e che il pericolo che l’arrivo di nuovi rinforzi da altre zone della Siria possa nuovamente portare ad una caduta di Kobane. Comunque la strenua resistenza dei combattenti curdi e l’aumento dei raid aerei statunitensi negli ultimi giorni – in aperta polemica di Washington nei confronti di Ankara – hanno di fatto spezzato le linee di rifornimento dell’Isis e causato forti perdite tra i jihadisti. Nei giorni scorsi alcuni combattenti curdi hanno raccontato di aver trovato alcune strade della città appena riconquistate letteralmente lastricate dei cadaveri dei jihadisti uccisi.
La lunga battaglia per conquistare la città al confine con la Turchia starebbe logorando i tagliagole di Abu Bakr al Baghdadi che, affermano esponenti curdi al Wall Street Journal, “non accetteranno mai di perdere”. Alcuni non meglio precisati “attivisti” presenti a Raqqa, roccaforte dell’Isis in Siria, avrebbero raccontato al quotidiano Usa di appelli lanciati ogni giorno dalle moschee della città per raccogliere il sangue necessario ai combattenti feriti ricoverati negli ospedali cittadini, e di bambini di soli 12 anni reclutati dai fondamentalisti per andare al fronte.
La difficile situazione sul terreno avrebbe spinto i jihadisti a tentare di reclutare, in gran parte senza successo, gli arabi che vivono nei villaggi situati intorno a Kobane con la promessa di ottenere le case dei curdi una volta conquistata definitivamente la città.
Il vicepresidente del governo locale di Kobane, Khaled Barkal, ha riferito di raid aerei particolarmente efficaci nelle zone aperte della città, dove sono state colpite postazioni di artiglieria e carri armati dello Stato Islamico. Dopo un incontro a Parigi tra il leader kurdo siriano Muslim e l’inviato speciale Usa per la Siria Rubinstein, l’intensificazione dei raid della coalizione guidata dagli Usa e il loro coordinamento con le unità kurde sul terreno hanno sortito i loro effetti. E nelle ultime ore un cargo C-130 statunitense ha paracadutato armi, munizioni e materiale medico ai curdi dell’enclave accerchiata dai miliziani dello Stato Islamico, ufficialmente provenienti dal governo curdo dell’Iraq del Nord, finora assai restio ad aiutare i compatrioti di oltre confine.
Prima di dare il via all’operazione – la prima del genere in oltre un mese – i comandi militari statunitensi hanno informato il governo della Turchia. Sabato l’inquilino della Casa Bianca ha addirittura chiamato al telefono il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, per avvisarlo. Ankara non ha finora mosso un dito per aiutare i curdi siriani contro l’Isis, che pure dice di voler combattere, ma solo a condizione che Washington dia il suo benestare ad una invasione turca del nord della Siria, all’imposizione di una zona di non sorvolo per bloccare l’aviazione di Damasco e all’instaurazione di un governo delle zone occupate affidato alle marionette dell’Esercito Siriano Libero che, casualmente, è ospitato proprio in territorio turco.
Il regime turco non ha accolto per niente bene la mossa di Washington. Ieri Erdogan ha ripetuto per l’ennesima volta a un gruppo di giornalisti che “il Pyd è per noi uguale al Pkk. È un’organizzazione terroristica. Sarebbe un errore per gli Stati Uniti con i quali siamo amici e alleati nella Nato aspettarsi da noi un ‘sì’ al sostegno ad un’organizzazione terroristica”.
Dal canto loro le Unità di Difesa Popolare, espressione del Partito di Unità Democratica del Kurdistan siriano, chiedono alla comunità internazionale di premere sul regime turco affinché venga creato al più presto un corridoio umanitario che permetta a migliaia di sfollati di fuggire da Kobane e dai villaggi limitrofi e di essere curati e rifocillati. L’inverno si avvicina e per decine di migliaia di sfollati la situazione potrebbe diventare presto tragica. “Possiamo dormire nel tronco di un albero o sotto una roccia, ma per i civili è diverso. La maggior parte sono bambini, donne o persone anziane. Stiamo cercando di conquistare altre parti della città, in modo che possano tornare indietro” racconta all’agenzia curda Firat una combattente delle Ypj, Bişeng.
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