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Le proteste per i 43 desaparecidos di Iguala arrivano negli Stati Uniti

Continuano in Messico le proteste popolare per pretendere verità e giustizia per i 43 studenti della scuola ‘normal’ di Ayotzinapa scomparsi nel Guerrero il 26 di settembre, rapiti da narcos e poliziotti dopo l’uccisione di sei persone.

Nei giorni scorsi il presidente messicano Peña Nieto, al quale i manifestanti imputano la responsabilità di quanto accaduto nello specifico e in generale il legame tra istituzioni, narcotrafficanti e repressione poliziesca, è stato accolto da una contestazione degli abitanti di Salina Cruz dove il primo cittadino era andato per inaugurare un gasdotto. La polizia ha risposto con i lacrimogeni ai manifestanti che lanciavano pietre.
E nelle scorse ore la protesta si è trasferita anche negli Stati Uniti, dove in più di 20 diverse città si sono tenute manifestazioni in occasione della gior­nata di pro­te­sta con­tro la visita di Peña Nieto nel paese. A organizzare presidi sotto le ambasciate e i consolati del Messico sono state organizzazioni statunitensi di cittadini messicani e non solo. Non sono mancati attimi di tensione come a New York, dove la poli­zia ha impedito con la forza ai mani­fe­stanti di con­se­gnare alle auto­rità alcuni docu­menti sulla strage di Iguala. Alla base delle contestazioni la richiesta che il governo di Washington allenti l’alleanza con Peña Nieto, accusato di collaborare con i cartelli dei narcos e di coprire i settori della polizia e dell’esercito autori del massacro e del rapimento di massa di adolescenti della scuola del Guerrero. I contestatori hanno citato il cosiddetto emendamento Leahy, che teoricamente proi­bi­sce l’invio di fondi a paesi terzi che cal­pe­stano i diritti umani della propria popolazione. E di soldi gli Stati Uniti al governo messicano ne inviano parecchi, nell’ambito del Plan Mexico, diretto a fare del paese centroamericano un alleato subalterno sul piano economico oltre che politico.
Da parte sua l’ong Human Rights Watch ha denunciato, cifre alla mano, numeri spaventosi, ricordando che «Nei due anni di presidenza di Enri­que Peña Nieto oltre 40.000 mes­si­cani sono stati assas­si­nati e circa 10.000 risul­tano scom­parsi, inclusi i 43 gio­vani stu­denti norma­li­stas di Ayo­tzi­napa». Secondo i dati ufficiali nell’ultimo decen­nio sono state assas­si­nate o fatte sparire in Mes­sico un totale di 80.000 per­sone, in gran parte donne, indi­geni, lavo­ra­tori, stu­denti e anche gior­na­li­sti.
E proprio nelle ultime ore ben tredici poliziotti sono stati arrestati nello stato messicano di Veracruz in relazione al rapimento di un giornalista, mentre le autorità sono al lavoro per identificare i resti di un uomo rinvenuti in un villaggio vicino. Gli arrestati fanno parte di un gruppo di 36 agenti dele polizia locale chiamati lunedì a testimoniare sulla sparizione di Moises Sanchez, editore del quotidiano di Medellin La Union, rapito da casa da un gruppo di uomini armati il 2 gennaio scorso. Il procuratore Luis Angel Bravo ha ordinato l’arresto di 13 agenti, mentre gli altri sono stati rilasciati. Sanchez è noto per i suoi articoli sulla violenza legata al traffico di droga che ha sconvolto Medellin, confinante con Veracruz, uno dei principali porti messicani. Gli inquirenti hanno prelevato un campione di Dna dei figlio di Sanchez per verificare se sia compatibile con i resti di un uomo trovati lunedì sera nel vicino villaggio di Soledad de Doblado. Gli investigatori hanno detto che il corpo porta segni di tortura ed è irriconoscibile. Almeno 15 giornalisti sono stati uccisi e quattro sono stati rapiti dal 2000 a oggi nel solo stato di Veracruz.
Intanto ad Iguala e nei dintorni, soprattutto a Cocula, i familiari dei 42 scomparsi (o 43, a seconda dei punti di vista) continuano a cercare i cadaveri dei ragazzi nelle fosse comuni dove i narcos sotterrano le loro vittime e all’interno delle caserme dell’esercito. Solo di uno studente, Alexander Mora, alcune settimane fa sarebbero stati trovati e identificati i resti. Ma secondo la com­mis­sione di periti argen­tini, nomi­nata dalle fami­glie dei desa­pa­re­ci­dos, i resti – con­se­gnati agli esperti in un sacco – non sarebbero stati realmente trovati nella discarica dove secondo tre killer sarebbero stati sepolti i ragazzi dopo esser stati giustiziati e bruciati. Proverrebbero da un altro luogo, tenuto segreto dalle autorità, dove sarebbero sarebbero sepolti anche i resti degli altri rapiti.
Ma a detta di un portavoce presidenziale intervistato dall’agenzia di stampa spagnola Efe, il governo e la Procura Generale messicani avrebbero svolto in merito un “lavoro impeccabile”. 

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