Mentre Russia e Ucraina, con la mediazione dell’Osce – assai sbilanciata dalla parte del regime nazionalista di Kiev – hanno ripreso a scambiarsi per ora timidi messaggi concilianti, la popolazione del Donbass è ancora sotto le bombe. E il numero dei morti continua, inesorabilmente, a crescere.
Mentre le truppe governative ancora si leccano le ferite dopo la sanguinosa disfatta subita al termine di un’offensiva contro l’aeroporto di Donetsk conclusasi con la perdita totale dello scalo da parte del regime, una nuova strage di civili inermi ha riportato la guerra civile ucraina all’attenzione della stampa internazionale altrimenti alquanto distratta.
Questa mattina almeno tredici persone sono state uccise e altre decine sono rimaste ferite a causa di una serie di colpi di mortaio che hanno centrato un tram nel quartiere Leninski di Donetsk. Il bus è stato completamente sventrato e per molti dei suoi occupanti non c’è stato nulla da fare. Anche questa volta, incredibilmente – era già avvenuto per un episodio simile lo scorso 13 gennaio – il governo golpista di Kiev ha provato ad incolpare le forze armate della Repubblica Popolare della strage, potendo contare sulla colpevole complicità di molti media occidentali. Ma la dinamica degli eventi – ad essere bombardato dalle postazioni dell’artiglieria dell’esercito ucraino fuori città è stato un quartiere considerato una vera e propria roccaforte dei ribelli – non lascia alcun dubbio sulla responsabilità dell’ennesima mattanza di civili. Secondo i testimoni oculari citati dall’agenzia dei ribelli «Dan-news Info», una fermata del trasporto pubblico è stata colpita da cinque colpi di mortaio mentre stavano transitando un tram e un filobus, che ha preso fuoco, insieme ad un’auto di passaggio. Le immagini riprese poco dopo da una troupe della tv di Mosca, Rossia 24, mostrano il bus distrutto da un ordigno e cadaveri alla fermata e dentro lo stesso bus.
Sul luogo della strage sono arrivati gli osservatori dell’Osce, il cui portavoce, il canadese Michael Bociurkiw, ha affermato: “Abbiamo inviato un gruppo che potrà valutare la situazione”. Poco dopo una folla di passanti infuriati si è avventata su alcuni soldati ucraini fatti prigionieri e si è sfiorato il linciaggio, prima che la polizia sottraesse gli uomini alla rabbia popolare.
La situazione della popolazione delle città assediate ormai dalla primavera dell’anno scorso è disastrosa e peggiora di giorno in giorno. Ieri il sindaco di Donetsk, Ígor Martýnov, ha chiesto per l’ennesima volta aiuto alla comunità internazionale, denunciando che a causa dei bombardamenti la diga che riforniva la città di acqua è stata danneggiata lasciando la popolazione a secco. “Lasciare la popolazione senz’acqua è equivalente a un genocidio” ha tuonato Martýnov.
Intanto, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha chiesto che venga aperta un’indagine sul bombardamento, definendolo “un crimine contro l’umanità” e una “provocazione volta a minare gli sforzi per ottenere una soluzione pacifica della crisi ucraina, in particolare il progresso delineatosi dopo l’incontro in formato Normandia a livello di ministri degli Esteri” a Berlino. Poi si è scagliato contro il governo Jatsenjuk: “Diventa evidente che le vittime umane non fermano il ‘partito della guerra‘ a Kiev e i suoi protettori stranieri”, ha detto Lavrov. Gli ha immediatamente risposto il presidente ucraino che ha ha attaccato i “terroristi” ucraini (come i golpisti chiamano i ribelli della Novorossija) e ha sostenuto che dietro la strage ci sia la mano della Russia: “I terroristi – ha dichiarato – hanno commesso oggi di nuovo un atto orribile contro l’umanità. La responsabilità è della Federazione Russa”.
Intanto, nelle ultime 24 ore, almeno dieci militari ucraini sono rimasti uccisi nei combattimenti per il controllo dell’aeroporto di Donetsk ed in altre località, mentre altri 16 sono stati feriti e fatti prigionieri. Altri 20 – riferisce il ministero della difesa di Kiev, citato da Interfax – sarebbero riusciti invece a sfuggire all’arresto. Scrive il giornalista ucraino Yuri Butusov, direttore del sito web Censor.net, ammettendo quello che molti media ufficiali ucraini hanno continuato a negare nonostante la conferma del governo ucraino: «Il nuovo e il vecchio terminal, la torre di controllo e tutto quello che poteva servire per la difesa – ha riferito Butusov su Facebook – è stato completamente distrutto. Gli ultimi difensori sopravvissuti hanno abbandonato oggi il nuovo terminal». A scappare di fronte all’avanzata dei miliziani sono stati in particolare i volontari del battaglione neonazista Azov che in un farneticante post pubblicato sul profilo facebook della formazione hanno scritto: “I militari che difendevano l’aeroporto di Donetsk sono stati costretti a lasciare quello che ancora un anno fa era un magnifico aeroporto moderno. L’epopea della difesa eroica dell’aeroporto è durata 242 giorni, cioè più della difesa di Stalingrado e di Mosca durante la guerra patriottica. Speriamo che la bandiera nazionale ucraina torni a sventolare sull’aeroporto”. Complessivamente, negli ultimi giorni di battaglia dentro e attorno allo scalo, le milizie popolari hanno ammesso la perdita di 8 elementi.
Le 13 persone falciate dalle bombe a Leninski non sono le uniche vittime di oggi in Donbass. Le autorità insorte denunciano almeno dieci cittadini uccisi a Gorlovka e la morte di altre otto persone in diverse località della Repubblica Popolare di Lugansk.
Mentre nell’est del paese si continua a morire, i ministri degli Esteri di Ucraina, Russia, Germania e Francia si sono incontrati ieri nella capitale tedesca Berlino ma non sono andati oltre una vaga e ininfluente “grave preoccupazione” per la recente escalation dei combattimenti. Lo hanno scritto in un comunicato congiunto i ministri dei quattro paesi: “Questo – scrivono nella nota – deve finire immediatamente e deve essere ripristinata la calma”. Teoricamente a Berlino i rappresentanti di Ucraina e Russia hanno raggiunto un accordo affinché sia le forze di Kiev sia i miliziani del Donbass ritirino gli armamenti pesanti al di là di una linea di demarcazione, e perché tra i combattenti separatisti e le forze di Kiev vengano stabilite delle “zone di sicurezza”. Esattamente quanto era stato pattuito nel corso degli accordi di Minsk del 9 dicembre scorso prima che le armi tornassero a parlare e il sangue a scorrere.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa