Mancano tre mesi al voto ma è già pioggia di veleni a Ankara in vista delle politiche del 7 giugno, le più incerte e cruciali per Recep Tayyip Erdogan da quando il suo partito Akp è al potere, nel 2002.
L’opposizione lo accusa di evidenti tendenze dittatoriali e di essere pronto a tutto pur di vincere le elezioni che potrebbero dargli una maggioranza assoluta in grado di permettergli di modificare la costituzione in senso presidenzialista, anche con brogli e complotti. Il capo dell’opposizione, il leader del Partito Repubblicano del Popolo (Chp) Kemal Kilicdaroglu ha affermato di avere le prove che i servizi segreti turchi (Mit) avrebbero un piano per mettere al bando il suo partito prima delle elezioni sulla base di false accuse. La stessa denuncia è venuta dalla nota ‘gola profonda’ Fuat Avni, secondo la stampa un anonimo collaboratore del ‘sultano’, che da un anno anticipa con precisione su twitter varie manovre del potere – retate, incriminazioni contro giornalisti e membri dell’opposizione – mettendo in serio imbarazzo il governo.
Nei giorni scorsi tre giornali di proprietà di Ethem Sancak, un imprenditore vicino al presidente, hanno da parte loro denunciato un presunto piano per assassinare Sumeyye, la figlia di Erdogan. Secondo le accuse, che i più hanno definito strumentali e peregrine, l’imam e imprenditore Fetullah Gulen, ex padrino e alleato del presidente e da alcuni anni suo acerrimo competitore e nemico, il dirigente del Chp Umut Oran e il misterioso Fuat Avni avrebbero assoldato un sicario e si sarebbero scambiati al riguardo messaggi diretti su Twitter, riprodotti dai tre giornali. Dopo le prime denunce la procura aveva subito aperto un’inchiesta ma i messaggi erano risultati falsi. Oran ha consegnato ai giornalisti la registrazione ufficiale dei contatti del suo account fornita da Twitter: nessun messaggio è stato scambiato con ‘Avni’ o con Gulen, che da molti anni dagli Stati Uniti regna su un vero e proprio impero politico-economico-religioso in patria e oltreoceano: scuole religiose, imprese, giornali.
Oran ha quindi querelato Sancak e i vertici dei tre giornali filogovernativi, accusati di essere “una gang criminale” al servizio di Erdogan.
Nell’Akp suscitano intanto nervosismo i sondaggi che danno il partito sotto il 40%, contro il 50% ottenuto alle politiche del 2011. Erdogan fa apertamente campagna, nonostante la costituzione imponga al capo dello stato di essere neutrale, e chiede agli elettori di dare ai liberal-islamisti dell’Akp una maggioranza assoluta più ampia che gli consenta di istituire un sistema presidenziale forte attraverso il quale assumerebbe poteri ancora più pieni di quelli che già detiene. Il ‘sultano’ ha detto di volere restare al potere fino al 2023, anniversario dei cento anni di vita della repubblica fondata da Mustafa Kemal Ataturk. Se alle elezioni vincerà nettamente nulla potrà impedirglielo ma le incognite allo stato sono forti e alcuni analisti non escludono nel frattempo un tracollo dell’economia. La lira è già in picchiata da mesi (ha perso il 12% sul dollaro solo da gennaio) vittima delle bordate dello stesso Erdogan contro la Banca Centrale e di alcuni movimenti speculativi interni ed esterni, oltre che della debolezza di un’economia turca gonfiata dalla speculazione edilizia e dal turismo.
Le tensioni interne continuano intanto a crescere. Da dicembre si moltiplicano le incriminazioni di giornalisti critici verso il potere per presunte ‘offese’ a Erdogan che rischiano fino a 4 anni di galera, mentre all’interno del parlamento i deputati della maggioranza e delle opposizioni di centrosinistra e destra si sono più volte affrontati con violenza durante la discussione della nuova legge, presentata dall’esecutivo, che conferisce poteri senza precedenti alla polizia e ai tribunali, dopo averli già dati ai servizi segreti del Mit. L’incertezza maggiore proviene forse dal voto curdo. Se il nuovo partito Hdp – che raccoglie i partiti curdi e alcune formazioni minori della sinistra turca forti però a Istanbul e in altre città – riuscirà a superare la soglia minima del 10% per entrare in parlamento, l’Akp potrebbe non ottenere i 400 deputati su 550 a cui aspira per controllare del tutto l’assemblea legislativa. Se la nuova formazione che difende i diritti delle popolazioni curde e di altre minoranze etniche e politiche rimarrà sotto lo sbarramento, i suoi voti andranno invece al primo arrivato, e il partito del presidente potrebbe allora avere la maggioranza necessaria per dare pieni poteri al ‘sultano’.
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