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Ucraina – Mar Nero – Baltico: manovra a tenaglia Nato contro la Russia

Anche se la tregua siglata a Minsk poche settimane fa sembra nel complesso tenere, nelle ultime ore scontri a fuoco tra le due parti sono segnalati in diversi punti del fronte nell’Ucraina Orientale. Secondo le autorità di Kiev un soldato ucraino sarebbe stato ucciso nelle ultime ventiquattro ore. “Un militare è stato ucciso e quattro sono rimasti feriti”, ha annunciato questa mattina un portavoce militare ucraino, Vladislav Seleznev, nel corso del briefing giornaliero con la stampa. Secondo i golpisti alcune postazioni dell’esercito ucraino sarebbero state attaccate durante la notte nelle località di Piski, Opytné, Avdiivka, non lontano dalle rovine dell’aeroporto di Donetsk che fu teatro di accaniti combattimenti prima di passare definitivamente sotto il controllo totale dei ribelli. Combattimenti non rilevanti sarebbero in corso anche nei pressi dei villaggi di Chermalyk e Shirokiné, non lontano da Mariupol, porto strategico e ultima grande città dell’oblast di Donetsk ancora sotto il controllo di Kiev.

Proprio nei giorni scorsi il presidente ucraino, l’oligarca Petro Poroshenko, aveva affermato in diretta tv che dal 15 febbraio scorso, quando è entrato in vigore il cessate il fuoco mediato a Minsk dal quartetto “normanno”, i soldati di Kiev uccisi in combattimento sono stati 64. In realtà secondo fonti non ufficiali il bilancio reale delle vittime sarebbe assai più alto, in particolare nei primi in giorni quando le truppe governative accerchiate e assediate in una sacca abbandonarono la città di Debaltsevo lasciandosi dietro numerosi cadaveri di militari e civili uccisi negli scontri e nei bombardamenti. Dopodiché, anche se con lentezza e in maniera incompleta, entrambi gli schieramenti hanno ritirato “una parte significativa” delle armi pesanti e dell’artiglieria dal fronte, spostandole a qualche chilometro di distanza, mentre gli osservatori dell’Osce che dovrebbero sovrintendere all’applicazione dei protocolli di Minsk in realtà non sono riusciti ad arrivare in quasi nessuno dei punti nevralgici della linea che divide gli indipendentisti dai governativi.
Da parte sua, uno dei leader della Repubblica Popolare di Donetsk, Andrei Purghin, ha accusato Kiev di minare il cessate il fuoco, imponendo alle popolazioni assediate condizioni disumane a causa del blocco economico quasi totale imposto dal governo centrale ai territori sotto il controllo di quelli che il regime ucraino continua a definire ‘terroristi’ o quando va bene ‘separatisti’. Purghin ha però ammesso che la tenuta complessiva della tregua ha permesso il ritorno nelle loro case – per chi non se l’è viste bombardare dai governativi – di molti profughi e che “a poco a poco si sta riprendendo il lavoro degli enti locali, anche se ancora lascia molto a desiderare”.
Mentre entrambe le parti accusano gli avversari di utilizzare il cessate il fuoco per riorganizzarsi e preparare un’offensiva militare in primavera, forse anche tra poche settimane, la Nato continua ad ampliare il suo sostegno politico e militare al regime nazionalista ucraino, e da sud e a nord sta mettendo in atto una vera e propria manovra a tenaglia di accerchiamento della Federazione Russa.
Ad esempio le forze armate polacche hanno informato nei giorni scorsi che formeranno un gruppo di addestratori ucraini nelle proprie basi militari. La scorsa settimana Varsavia aveva annunciato la possibilità di inviare dei propri addestratori in Ucraina per la formazione dei sottufficiali delle forze armate di Kiev, ma poi il Ministero della Difesa polacco ha stabilito che tali attività avranno luogo sul proprio territorio. La settimana scorsa anche la Gran Bretagna aveva annunciato l’invio di 75 addestratori militari in Ucraina per un periodo di sei mesi, suscitando naturalmente l’irritazione della Russia. Del resto alcuni giorni fa, in un pronunciato a Londra davanti al Royal United Services Institute, il segretario agli Affari Esteri britannico, Philip Hammond, ha descritto Mosca come una minaccia non soltanto alla sicurezza delle nazioni dell’Europa Orientale, ma per lo stesso Regno Unito. “Ci troviamo di fronte – ha dichiarato Hammond – a un leader russo incline a non aderire a un sistema internazionale fondato su regole che conservi la pace tra le nazioni. Le azioni del presidente Putin, l’annessione illegale della Crimea e attualmente l’utilizzo delle truppe russe per destabilizzare l’est dell’Ucraina, fondamentalmente minano la sicurezza delle nazioni sovrane dell’Europa orientale.  Ma Mosca ha il potenziale di porre la più grande minaccia alla nostra sicurezza. Siamo – ha osservato Hammond – in un ‘territorio’ familiare a chiunque abbia almeno 50 anni e ricordi il comportamento aggressivo russo” durante la guerra fredda. “Per questo – ha concluso il segretario agli Esteri di Londra – rafforzare l’azione dei servizi di intelligence per monitorare capacità e intenzioni della Russia resta vitale. Non a caso, tutte le nostre agenzie hanno ripreso a reclutare persone che conoscono la lingua russa”.
Lo ha seguito a ruota il comandante delle truppe della Nato in Europa, Philip Breedlove, il quale ha denunciato la “militarizzazione” della Crimea, la penisola donata all’Ucraina da Kruscev e annessa dalla Russia un anno fa dopo un referendum popolare, che secondo l’Alleanza Atlantica ospita missili capaci di coprire con la loro gittata tutta la zona del Mar Nero. “La Russia ha già dispiegato sistemi molto sofisticati (…) Noi vediamo sistemi di missili terra-aria che coprono il 40 per cento del Mar Nero. E ci sono missili da crociera che coprono praticamente tutto il Mar Nero” ha detto il generale statunitense nel corso di un’intervista diffusa domenica sera dalla tv ucraina 1+1.
Che la Crimea sia diventata un avamposto militare russo di primordine è abbastanza evidente – del resto lo era già prima dell’annessione – così come sono evidenti le continue esercitazioni militari realizzate dalle forze di terra e navali di Mosca in diversi quadranti del suo territorio. Ma è anche evidente la provocatoria e crescente attività militare ai confini della Russia da parte dell’Alleanza Atlantica, che proprio in questi giorni ha inviato un propria flotta a scorrazzare a poche decine di chilometri dalle coste del Mar Nero. «Le mano­vre ci per­met­tono di pre­pa­rarci a qua­lun­que mis­sione Nato che debba ren­dersi neces­sa­ria in rela­zione agli obbli­ghi dell’alleanza sulla difesa col­let­tiva» ha dichia­rato dome­nica il responsabile delle esercitazioni, il viceammi­ra­glio statunitense Brad Williamson. Alle mano­vre navali organizzate assieme a Turchia, Romania e Bul­ga­ria – paesi che si affacciano sul mar Nero – stanno partecipando l’incrociatore lan­cia­mis­sili Usa «Vick­sburg», le fre­gate lan­cia­mis­sili cana­desi «Fre­de­ric­ton», l’italiana «Ali­seo», la turca «Tur­gu­treis», la rumena «Regina Maria» e la bul­gara «Dri­zki», oltre alla nave ausi­lia­ria tede­sca «Spessart».
Contemporaneamente all’inizio di questa settimana circa 120 tra carri armati e mezzi blindati statunitensi sono sbarcati in Lettonia nel quadro della missione della Nato ‘Atlantic Resolve’ diretta a rassicurare i paesi baltici e impedire che ‘facciano la fine della Crimea’. Alle tre repubbliche ex sovietiche che si affacciano sul Mar Baltico Washington ha inviato oltre ai carri armati anche una gran quantità di equipaggiamenti militari pesanti, ha spiegato da Riga il generale statunitense John O’Connor da Riga. Lo scopo dell’invio del materiale bellico a Lettonia, Lituania ed Estonia, ha spiegato l’alto grado Usa è di “mostrare la nostra determinazione al presidente Putin e alla Russia, mostrare che noi possiamo riunire le nostre forze” in caso di pericolo. I carri armati Abrams, i veicoli da combattimento Bradley e i veicoli Scout Humvees resteranno in Estonia, Lettonia e Lituania, “sino a quando sarà necessario per dissuadere la Russia da un’aggressione”, ha chiarito il generale.

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