Passano presto di mattina. Uno spago al collo che regge la ciotola metallica per domandare e raccogliere le elemosine. Sono i Talibé di Niamey. Figli di povere famiglie di campagna che li affidano alla cura dei maestri coranici. In cambio del Corano e dell’alloggio c’è la mendicanza quotidiana del cibo. Poveri e figli di poveri sulle strade di Niamey. Anche in Senegal si sviluppa lo stesso fenomeno riproduttivo di povertà. Di un’età che varia tra i 6 e i 15 anni pattugliano le strade e si accampano tra i semafori che non funzionano. I Talibé sono un’istituzione affermata, riconosciuta, osteggiata e perpetuata. Da una povertà all’altra. Da quella conviviale dei villaggi a quella escludente della città. Mendicanti si nasce e soprattutto si diventa perfezionando i sistemi di comunicazione. Imparano il corano della vita. La sottomissione è un sistema di controllo sociale. Devono dare conto del raccolto. Tornano dal maestro con 500 franchi che è meno di un euro.
La mendicanza si esporta. C’è l’aereo presidenziale alla ‘Charlie’ e poi i mendicanti che migrano. Soprattutto in Algeria dove almeno 2500 nigerini sono stati identificati ed espulsi. Tornano in patria per poi ritornare in Algeria per vie clandestine. Donne e bambini che dormono sulle strade di Algeri o altrove nel paese. La storia di Issa si sviluppa tra espulsione e ritorno al mittente per mancanza di altre prospettive. Passare attraverso il deserto costa meno del viaggio regolare che implica la spoliazione dei passanti ad opera della polizia. Il deserto si pattuglia per intercettare i migranti che cercano di evadere la povertà che i politici impongono. Le pattuglie possono essere miste o nazionali ma questo non cambia il prodotto finale della rapina legalizzata dall’uso. Da quando la Libia è il caos organizzato è l’Algeria a diventare l’Eldorado dei nigerini. Poi tutto tace e le politiche di sviluppo sono strutturate per non cambiare i timonieri della nave.
I ciechi, gli storpi e i portatori di handicap fanno la loro parte. Lo smantellamento delle politiche sociali imposte negli anni dal Fondo Monetario hanno portato frutti. Nessuno si interessa di loro e allora essi cercano la visibilità per non scomparire nella polvere del Sahel. Gli incroci, i semafori, le adiacenze delle moschee, le stazioni dei bus, i mercati e financo le chiese bruciate due mesi fa sono i luoghi favorevoli alla pratica mendicante. Le ONG fanno i rapporti e le agenzie dell’Onu organizzano convegni. Il governo si limita a deplorare e i praticanti musulmani sanno a chi dare l’elemosina pilastro dell’Islam. Sporadiche voci si levano a difesa o contro i mendicanti. La realtà è ostinata. In questo ambito nulla si crea e nulla si distrugge, solo si perpetua. Le donne portano in braccio i più piccoli e le bambine tendono le mani agli autisti di taxi inch’allah.
Il lavoro si rischia di trovarlo. L’informale è la moneta corrente delle società sub-sahariane e non solo. Si vende ciò che si ha nelle braccia. Gli ultimi proletari sono nel Niger della settima repubblica che di popolare ha solo la mendicanza. Il problema è farsi pagare dopo. Gli amministrativi sono i garantiti. I precari della scuola ricevono salari occasionali da dopolavoro ferroviario. Tutti gli altri mendicano la remunerazione. Il padrone non c’è. E’ uscito e tornerà domani. Ha lasciato una commissione per lei. La ditta ha fatto fallimento come l’uranio di Areva che licenza centinaia di lavoratori con un piano sociale di eliminazione. Muratori, imbianchini, meccanici, saloni di bellezza perduta, sarti ambulanti, saldatori senza maschera e spacciatori di salute. Nessuno paga in tempo e la somma pattuita. Si mendica ciò che è di diritto, questa è la politica che va per la maggiore nel Sahel. Anche i deputati mendicano i voti alle elezioni.
I mendicanti sono dei sovversivi. Non producono e non consumano. Non si allineano con il mercato. Rivelano ai comuni mortali la loro identità nascosta e abbandonata. La mano vuota che si porge all’altro è l’arma più temibile. Capolavoro di indigenza e dunque profondamente umana. Senza veli, trucco o manie di grandezza. Il dio qualunque di Niamey non ne fa un dramma. Si vede in giro e prende nota dei nomi. Risponde ai saluti e torna il giorno dopo alla stessa ora.
Mauro Armanino, Niamey, Marzo 2015
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