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Atene non rimborsa il Fmi? Schaeuble ha deciso: default

Ultim’ora. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, sembra aver rotto gli indugi e spinge ormai apertamente per il default della Grecia e quindi la sua uscita dall’euro (resterebbe comunque improbabile la sua permanenza all’interno dell’Unione Europea). «Non posso ripetere quanto dissi nel 2012, cioè che la Grecia non sarebbe mai andata in default». La causa di questa nuova linea starebbe nella natura politica, di sinistra riformista, ma autentica e radicale, della coalizione che ha vinto le elezioni, Syriza. «La decisione democratica e sovrana – ha detto in un’intervista al Wall Street Journal e a Les Echos – del popolo greco ci ha lasciato in una situazione molto diversa» rispetto agli accordi stretti a suo tempo con i governi, assai più malleabili, di Papandreou e Samaras.

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Chi aveva pensato che l’ultimatum emesso ieri da Merkel e Hollande dovesse segnare la fine dell’incertezza – quella che non piace “ai mercati” – intorno alla crisi gerca, deve ora rifarsi i conti. A poche ore dall’intimidazione, infatti, il presidente del parlamento greco – un esponente del partito di governo, Syriza – ha spiegato che la Grecia non rimborserà al Fmi la rata in scadenza il 5 giugno (319 miliioni di euro), solo una parte del complessivo miliardo e 500 milioni dovuto per giugno, qualora non fosse stato raggiunto un accordo vero e soddisfacente con “i creditori”. Ossia i governi dell’Unione Europea, la Bce e lo stesso Fmi.

Il ministro del lavoro Panos Skuletis, di suo, ci ha aggiunto una considerazione politicamente giustissima, ma che avrà fatto rizzare i capelli in testa a tutti “gli operatori di mercato”: «Vi assicuro che se ci dovessimo trovare di fronte a un dilemma tra pagare un creditore che si rifiuta di firmare un accordo con noi e un pensionato, pagheremmo il pensionato». «Spero che saremo in grado di pagare entrambi».

La situazione è in stallo. L’accordo è possibile solo sotto forma di erogazione di fondi in cambio di riforme strutturali. Il disaccordo è su quali debbano essere queste “riforme”. Fin qui Atene si è rifiutata di toccare ancora le pensioni, i salari e le regole del mercato del lavoro. Ovvero di fare la controfigura dei governi Samaras e Papandreou, che hanno accettato ogni diktat della Troika precipitando il paese nella povertà.

Sul possibile accordo pesa però anche la posizione del Fmi, che non può – statutariamente – partecipare a un salvataggio senza che vi sia una “sostenibilità certa del debito” del paese interessato. La Grecia è stata costretta ad arrivare al 180% del Pil (era al 125% al momento in cui sono iniziati i “piani di aiuto”), quindi bisognerebbe arrivare a una “ristrutturazione del debito” tagliando le cifre attese dai partner europei (i governi); mentre il Fmi sarebbe al riparo della clausola che lo considera “creditore privilegiato”, quindi da risarcire prima degli altri.

Queste le scadenze più vicine: 5 giugno: ad Atene servono 300 milioni di euro per un rimborso da fare al Fondo Monetario Internazionale. 12 giugno: Atene deve rifinanziare 3,6 miliardi di euro di Bond in scadenza e trovare 340 milioni di euro per rimborsare un’altra rata al FMI, per prestiti precedentemente erogati. 16 giugno: Atene deve trovare la disponibilità di altri 566 milioni di euro da rimborsare al FMI. 18 giugno: I ministri delle Finanze dell’euro blocco si riuniscono in Lussemburgo. A margine dell’incontro, al quale la Grecia non è invitata, discuteranno del problema greco. 19 giugno: Atene deve rifinanziare 1,6 miliardi di euro di Bond in scadenza, trovare 340 milioni di euro da restituire al Fondo Monetario e altri 85 milioni di euro per pagamento di interessi alla BCE. 25 e 26 giugno: I leader europei si riuniscono a Bruxelles per valutare la situazione greca.

E intanto dentro Syriza monta la discussione lacerante: “compromesso onorevole” o “rottura”?

 

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