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Influire sul referendum, perciò si dice che “si tratta”

Ma si sta trattando o no? Dai media italiani non si può capire quasi nulla. Prevale soprattutto l’intento “pedagogico” nei confronti del lettore-telespettatore: “fuori dall’Unione Europea c’è la rovina”, quindi “il pressing dell’Europa costringe Tsipars a ripensarci”, e amenità del genere.

Tutto parte dalla scambio di lettere di ieri, a poche ore dalla scadenza del “piano di aiuti” in vigore da oltre un anno e, soprattutto, ultimo giorno per ripagare una quota del debito al Fondo Monetario Internazionale (1,6 miliardi). Aveva cominciato Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, inviando ad Atene una nuova proposta contenete la promessa – e solo quella – di aprire una discussione della ristrutturazione del debito greco, ad ottobre.

Si era andati avanti con Alexis Tsipras che prima rifiuta, poi dice di “star valutando” e infine rilancia controproponendo che il fondo “salvastati” Esm vari un piano biennale di aiuti contestualmente alla ristrutturazione (riduzione) del debito pubblico greco. Un “controbuio” in piena regola, se stessimo giocando a poker…

Aveva chiuso poi i giochi Angela Merkel, rimandando qualsiasi discussione di merito all’esito del referendum ellenico di domenica. Il che appare addirittura l’unica cosa logica in una marea di “proposte” e dichiarazioni decisamente irrealistiche, specie se misurate con i tempi necessari per discutere ed eventualmente accordarsi. Quindi è chiaro che qualsiasi cosa venga detta e fatta – compresa una inutilissima riunione dell’Eurogruppo, stamattina, per far finta di “valutare” l’ultima lettera di Tsipras all’Esm – va inquadrata come propaganda elettorale referendaria a favore del “no” (Tsipras e il governo greco, ovviamente) oppure del “sì” (tutti i banditi allineati con la Troika).

E’ uno scontro di classe,  non “nazione versus sovranazionale”; tantomeno “un derby tra e euro e  dracma”, come ha provato a sintetizzare il contafrottole di Pontassieve. Basta vedere l’immagine dei due blocchi sociali che si sono mobilitati nella stessa piazza Syntagma, davanti al Parlamento di Atene, a 23 ore di distanza. Lo facciamo con le parole del confindustriale IlSole24Ore, involontariamente chiarificatrici:

“A riempire lo spazio davanti al Parlamento, nonostante la pioggia, sono stati i I sostenitori del movimento “Menoume Evropi” (Restiamo in Europa, che fa capo ai conservatori di Nea Dimokratia dell’ex premier Samaras, ai socialisti del Pasok e al partito europeista To Potami). La manifestazione era animata da persone non abituate a partecipare alle manifestazioni pubbliche. Sotto lo slogan “Grecia, Euorpa, Democrazia” erano riuniti molti signori e signore di mezz’età con abiti firmati e gioielli costosi, professionisti, giovani in maniche di camicia (di marca), protagonisti insoliti per una manifestazione politica.

A favore del “no” c’era la sinistra radicale, ma c’erano anche i greci che sostengo Tsipras pur non essendo miliatti: soprattutto impiegati pubblici, studenti, ex militanti del Pasok ora con Syriza, piccoli imprenditori rovinati dalla crisi.

Una sintesi perfetta di due blocchi sociali contrapposti dagi interessi materiali, non (solo) dell'”ideologia”. E l’Unione Europea, moneta unica compresa, avvantaggia alcuni mentre rovina gli altri.

Intanto “siamo in terra incognita”  e nessuno sa cosa c’è dietro l’angolo (anche Marzullo non fa più la domanda).

Il Fmi fa sapere di essere alla ricerca di una nuova soluzione, ovviamente se vinceranno i “sì”, sfruttando codicilli poco utilizzati dei propri regolamenti. L’idea sarebbe quella di rinviare ad almeno cinque anni di distanza il pagamento delle rate che la Grecia deve al Fmi, considerando il paese “in ritardo” e non “in default”. Contemporaneamente partirebbe lo sudio di fattibilità per la ristrutturazione del debito greco – come inutilmente chiesto fin dal primo momento dal governo Syriza. Naturalmente non si tratta di regai senza conropartite: la vittoria dei “sì” permetterebbe infatti di avere ad Atene un governo “complice” della Troika, pronta a eseguire tutti i massacri sociali che verranno ordinati.

E la partita vera sembra dunque tutta e solo politica. Non a caso tutti coloro che sostengono le scelte compiute dal governo Syriza – compresi prestigiosi economisti internazionali, come Krugman (“La Grecia deve votare no e il governo deve essere pronto a uscire dall’euro”), Stiglitz, Piketty – parlano di tentativo in atto di un “colpo di stato con metodi finanziari”. Il paragone con il Cile di Allende è immediato (lo fa anche l’economista Christian Marazzi, intervistato da il manifesto). E forse dovrebbe essere allargato anche alla qualità del “riformismo” di Syriza, decisamente più simile a quello del presidente caduto combattendo che non quello dei “socialdemocratici” europei. Non a caso, questi ultimi, schierati senza se e senza ma (addirittura con esplicite menzogne) al fianco degli ordo-liberisti tedeschi.

Qualsiasi sia il risultato del referendum, infatti, l’Unione Europea ne uscirà comunque come l’occupante vorace intenzionato a spolpare un paese. Con la complicità dei “privilegiati”, se vincerà il “sì” della resa, oppure contro la volontò di un popolo. L’unica opzione davvero irrealistica, infatti, è la “riforma” della Ue. Un’illusione che Syriza continua a nutrire, e che potrebbe riuscirle fatale.

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