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La Turchia a un passo dall’invasione della Siria. Per spazzare via i curdi

Dopo la sanguinosa incursione di massa delle milizie jihadiste a Kobane la scorsa settimana, che ha causato circa 200 vittime tra i combattenti curdi ma soprattutto tra i civili, nelle ultime ore è toccato alla cittadina di confine di Tal Abyad subire gli assalti dello Stato Islamico impegnato in una campagna di terrore e vendetta nei confronti della resistenza del Rojava che ha inflitto al ‘Califfato’ ingenti sconfitte nel corso degli ultimi mesi.

La località alla frontiera con la Turchia era stata conquistata e liberata dalle Ypg e dalle Jpg – con la collaborazione di una brigata dell’Esercito Siriano Libero e di qualche raid della coalizione a guida statunitense – lo scorso 16 gennaio. Ma ieri un sostanzioso gruppo di miliziani jihadisti ha realizzato un raid a sorpresa contro la cittadina occupandone un quartiere orientale e ingaggiando un duro scontro con con le Unità di Protezione del Popolo che stanno ancora tentando di impedire ai fondamentalisti di estendere il controllo su altre aree. Redur Kha­lil, uno dei por­avoce delle Ypg, ha informato che «decine di mili­ziani» dell’Isis si sono impossessati di una scuola e di alcuni edifici.
Con un tempismo più che sospetto, presto contro il Rojava e la Siria potrebbe scatenarsi la furia militare di Ankara che non ha mai nascosto le proprie mire su Damasco e il cui governo negli ultimi giorni, man mano che si estendeva il controllo della resistenza curda nel nord del paese scosso dalla guerra civile, ha tuonato contro la “pericolosità” per gli interessi turchi di quello che è stato definito ‘uno stato curdo ai propri confini.
E così il governo e i comandi militari turchi hanno resuscitato la vecchia strategia – finora sempre rifiutata da Washington e dalle petromonarchie alleate di Ankara nella guerra contro Assad ma in competizione con le aspirazioni del ‘Sultano’ – di intervento sul suolo siriano, annunciando che nei prossimi l’esercito turco potrebbe intervenire per creare una cosiddetta ‘zona cuscinetto’ spez­zando la con­ti­nuità ter­ri­to­riale tra i can­toni curdi di Kobane, Afrin e Azez.

Ottenendo un risultato quadruplo. In primo luogo quello spazzare letteralmente via il Rojava e il progetto del confederalismo democratico che promosso dal Pyd curdo ha permesso il coagularsi di un autogoverno di tutte le componenti etniche e religiosi che vivono nel nord della Siria. In secondo luogo mettere i piedi sul suolo siriano in modo da diventare una potenza decisiva al momento di spartire la Siria tra i diversi attori della destabilizzazione del paese. In terzo luogo creare un territorio nella quale addestrare e reclutare migliaia di combattenti – islamisti più o meno moderati, ovviamente, Stato Islamico compreso – da scagliare eventualmente contro i curdi e contro le forze leali al governo di Damasco senza dover coinvolgere più di tanto. In ultima istanza nella zona ‘cuscinetto’ lunga 110 km e larga ben 33, la Turchia trasferirebbe – anche a forza, se necessario – centinaia di migliaia di profughi siriani che negli ultimi anni hanno passato il confine per scampare a persecuzioni e combattimenti.
Le autorità di Ankara hanno anticipato che ben 18 mila soldati turchi sarebbero stati mobilitati per intervenire oltre il confine con la Siria già nei prossimi giorni, in quella che costituirebbe una micidiale escalation in un territorio che è già una polveriera pronta ad esplodere. La mossa naturalmente scatenerebbe la risposta dei curdi non solo in Rojava, ma anche all’interno dei confini dello Stato turco, provocando una immediata interruzione di qualsiasi negoziato di pace con il Pkk e l’inizio di una stagione di scontri con le organizzazioni popolari e combattenti curde che hanno già inviato un altolà ad Erdogan e soci. «Un attacco al Rojava sarà considerato un attacco a tutto il popolo kurdo – ha avvertito il comandante del Pkk, Murat Karayilan – Un simile intervento trascinerà la Turchia in una guerra civile».
A sbarrare la strada ad Erdogan la recente sconfitta elettorale. Con il 41% scarso dei voti il suo partito islamista non ha in parlamento la maggioranza assoluta e dovrebbe quindi cercare sostegno tra i nazionalisti di destra dell’MHP per ottenere il via libera dell’assemblea legislativa all’operazione militare oltreconfine, che oltretutto non godrebbe sicuramente della copertura delle Nazioni Unite e neanche di quella degli Stati Uniti.
Dopo le indiscrezioni diffuse da molti quotidiani,  nelle ultime ore il con­si­gliere di Erdo­gan, Ibra­him Kalin, nel corso di una con­fe­renza stampa ha riget­tato le accuse, affer­mando che ogni even­tuale misura sarà presa “in linea con gli obiet­tivi della comu­nità inter­na­zio­nale” e avrà come unico scopo quello “di mettere in sicu­rezza il con­fine turco”. Considerando che Ankara non si è allarmata quando era l’Isis a controllare le regioni siriane al confine con la Turchia e parla ora di ‘rischio contagio’ a proposito delle vittorie curde contro i jihadisti, le parole di Kalin non suonano certo come una rassicurazione convincente.
A mettere i bastoni tra le ruote al ‘Sultano’, potrebbe essere paradossalmente l’esercito turco. Secondo il quotidiano Hurriyet, infatti, le Forze armate turche (TSK) “non vedono di buon occhio l’invio di truppe in Siria in un futuro prossimo, a meno che le sue unità non vengano direttamente attaccate”.  

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