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Governo de facto e “sicurezza nazionale”, il piano di Erdogan

Governo de facto e “sicurezza nazionale”. Sembra questa la ricetta adottata dall’esecutivo provvisorio di Ankara, in vista di un sempre più probabile ritorno alle urne, entro l’anno o al massimo nella prossima primavera. A due mesi dalle elezioni del 7 giugno scorso la Turchia è infatti ancora priva di un governo. L’esecutivo provvisorio del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) ha perso la maggioranza assoluta detenuta per 13 anni in parlamento e la possibilità di formare da solo un governo per cui sono necessari 276 voti su 550, contro i 258 di cui dispone attualmente. La sconfitta elettorale dell’Akp è legata principalmente al successo del Partito democratico dei popoli (Hdp, formato dal movimento curdo di liberazione e da alcune forze della sinistra radicale turca) che ha ottenuto il 13% dei voti, portando in parlamento ben 80 deputati.

Ma il presidente Recep Tayyip Erdogan, titolare di una carica teoricamente rappresentativa ma uomo forte sulla scena politica, non sembra affatto aver abbandonato l’obiettivo di formare un esecutivo monocolore. Per questo bisogna tornare a votare, preparando nel frattempo il terreno, indebolendo gli avversari e mostrando tutta l’instabilità che il quadro uscito dalle precedenti legislative porta con sé: alcuni analisti l’hanno già battezzata la “strategia del caos”. Più concretamente, gli ultimi sviluppi registrati in Turchia indicano che l’uscente gabinetto dei ministri dell’Akp intende continuare a tenere le redini del Paese con un governo di minoranza sostenuto dall’esterno, che avrebbe comunque vita breve, in vista delle elezioni anticipate da convocare nei prossimi mesi. Che potrebbero però cambiare molto poco, avvertono sondaggi e opinionisti. A meno che la ripresa delle operazioni militari contro la guerriglia del Pkk non riporti la Turchia all’epoca della messa fuori legge dei partiti espressione del movimento curdo. Una repressione per via giudiziaria che lascerebbe campo libero all’Akp.

Il risultato elettorale sfavorevole non ha impedito all’esecutivo provvisorio dell’Akp di prendere, nelle ultime settimane, delle decisioni molto importanti sul piano internazionale come l’apertura della base militare di Incirlik alle forze della “coalizione internazionale contro lo Stato islamico” guidate dagli Stati Uniti. Da due settimane Ankara ha iniziato a bombardare massicciamente le postazioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) situate sui monti di Qandil (nel Nord dell’Iraq) e in territorio turco, al confine con il Kurdistan iracheno, in parallelo alla vasta retata condotta all’interno dei propri confini e che ha portato al fermo o all’arresto di più di 1000 militanti curdi e di un centinaio di esponenti della sinistra rivoluzionaria turca. E’ saltato così il già debolissimo cessate il fuoco tra il Pkk e lo Stato turco dichiarato due anni fa. Nel frattempo la magistratura ha aperto delle inchieste contro i massimi dirigenti dell’Hdp accusandoli di incitamento al terrorismo e di altri reati che porterebbero a una condanna di 24 anni di reclusione.

Queste mosse sono state valutate da diversi osservatori come una tattica per creare una situazione di forte instabilità e tensione nel Paese, indicando all’opinione pubblica conservatrice e reazionaria – maggioritaria in Turchia – l’Hdp e i curdi come principali responsabili della situazione che solo un governo forte e stabile – ovviamente espressione dell’Akp – potrà riportare sotto controllo.

Intanto le trattative con il Partito repubblicano del popolo (il socialdemocratico e nazionalista laico Chp, seconda formazione del Paese con 132 seggi parlamentari) avviate dall’Akp alcune settimane fa sembrano ormai fallite. Sebbene sia necessario attendere la comunicazione finale dei leader dei due partiti (il premier Ahmet Davutoglu per l’Akp e Kemal Kiliçdaroglu per il Chp) sull’esito delle trattative, secondo le ultime dichiarazioni rilasciate dai rappresentanti delle due formazioni, l’eventualità di un accordo tra le parti risulta ormai molto lontana.

Il ‘sultano’ Erdogan qualche giorno fa ribadito di sostenere l’idea di «un governo di minoranza» che conduca ad «elezioni anticipate». Uno scenario che lascerebbe aperta la porta ad una collaborazione con l’estrema destra del Partito di azione nazionalista (Mhp). Gli sciovinisti sostengono infatti la rinnovata guerra contro il ‘nemico curdo’ e potrebbero sostenere un governo di minoranza dell’Akp. In questo senso vanno ricordati il supporto indiretto del Mhp al candidato islamista per la presidenza della camera e il recente «no»congiunto dei due partiti di destra alla proposta del Chp di istituire una commissione di inchiesta sugli atti terroristici che hanno colpito il Paese nelle scorse settimane, tra i quali la strage di Suruc.. L’Mhp nel frattempo continua a chiedere la messa al bando dell’Hdp e una recrudescenza contro le organizzazioni politiche curde e la guerriglia del Pkk.

 

Due giorni fa sono circolate dichiarazioni del vice dell’Mhp, Semih Yalçin, sul possibile«sostegno» del Mhp ad un governo di minoranza, «a condizione di andare ad elezioni anticipate a novembre». Sebbene le dichiarazioni siano poi state smentite dallo stesso politico, il leader del partito Devlet Bahçeli ha dichiarato in più di un’occasione di essere favorevole ad elezioni anticipate da svolgersi a novembre. Un governo di minoranza servirebbe a evitare un cosiddetto «governo elettorale», previsto dalla Costituzione turca, che andrebbe ad assegnare a ciascun partito presente in parlamento alcuni incarichi ministeriali proporzionalmente ai seggi detenuti in parlamento. Un’eventualità che concederebbe agli odiati rappresentanti dell’Hdp ben 4 incarichi ministeriali.

Per un governo di minoranza basterebbe la maggioranza semplice dei voti, senza neanche che l’Mhp si sporchi le mani. Sarebbe sufficiente qualche astensione dei parlamentari sciovinisti o qualche assenza dall’aula. Il problema è che l’Akp spera indurendo le sue posizioni nazionaliste e sciovinisti di rubare voti proprio agli ‘ex’ Lupi Grigi alle prossime elezioni e non è detto che Bahceli si faccia incastrare aiutando Erdogan proprio quando è più debole.

Nonostante le strategie messe in atto dal governo per attirare gli elettori dalla propria parte, gli ultimi sondaggi indicano un cambiamento minimo nelle scelte dell’elettorato rispetto alle consultazioni di giugno. Un sondaggio effettuato tra il 25-26 luglio alla società Gezici mostra che l’Akp è cresciuto nell’ultimo periodo solo l’1,5-2% dei voti, mentre i consensi dell’Hdp sono rimasti inalterati. 

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