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Nato-Russia: corsa agli armamenti sul modello ‘guerra fredda’?

E’ cominciata ieri l’altro e andrà avanti fino al 22 giugno una “verifica improvvisa” del livello di rapidità di risposta di vari reparti delle forze armate russe. Nel corso del periodo estivo, ha dichiarato il Ministro della difesa russo Sergej Shojgù, singoli distaccamenti delle forze armate procederanno, complessivamente, a qualcosa come 2.000 esercitazioni che, in alcune regioni, si svolgeranno in collaborazione con le autorità amministrative locali, simulando “situazioni di emergenza di vario tipo”. Il vice Ministro della difesa, Anatolij Antonov, è stato incaricato di informare gli attaché stranieri sull’inizio delle esercitazioni, anche se, naturalmente, al quartier generale Nato di Bruxelles si sono detti “molto preoccupati” per l’avvio delle esercitazioni russe “senza preavviso”.

E in vista della prossima riunione del Consiglio Russia-Nato, il vice presidente della Commissione difesa del Senato russo, Frants Klintsevic ha reso pubblici i particolari di un possibile “attacco preventivo” della Nato alla Russia, che prevede il lancio di 4.000 missili ad alta precisione su obiettivi strategici russi: punti di controllo, vie di comunicazione, fabbriche, dispositivi di attacco nucleare. Klintsevic ha parlato della riattivazione di decine di ex basi sovietiche nei Paesi baltici, che devono ospitare le batterie missilistiche Nato e ha sottolineato che il sistema di difesa antimissilistica USA riveste un duplice scopo: oltre alla difesa, dalle stesse rampe di lancio possono partire missili d’attacco Tomahawk.

Intanto Mosca annuncia la comparsa di speciali container che possono rendere invisibili a satelliti spia, aerei da ricognizione e droni, le radiazioni elettromagnetiche sviluppate dai sistemi missilistici russi di difesa aerea S-400 e S-500 e i loro punti mobili di comando. A trovare posto per primi nei nuovi container saranno proprio sistemi di comunicazione e radar, oltre i centri di comando. Da inizio anni ’90, dicono gli esperti russi, il Pentagono sta mettendo in orbita satelliti geostazionari che catturano le onde elettromagnetiche dei diversi apparati: tra questi il “Mentor”, un satellite di 5 tonnellate e con antenne lunghissime, così come gli aerei U-2, dotati del sistema di rilevamento “Senior Glass”: tutti questi apparecchi verranno resi “ciechi” dai nuovi container.

Accanto ai container invisibili, la Russia starebbe allestendo 12 cacciatorpediniere di squadra, sulla base del modello “23560 Leader”, armati ciascuno di 200 missili e, per caratteristiche strutturali, un “incrocio” tra i moderni caccia e i precedenti incrociatori. Ne scrive la rivista statunitense The National Interest e a Mosca dichiarano che il modello è ora all’esame dei tecnici del Ministero della difesa. Il nuovo vascello – 17.500 tonnellate di stazza, 200 m di lunghezza e 20 di larghezza – avrà una massa maggiore dei tradizionali incrociatori pesanti del periodo della Seconda guerra e sarà inferiore solo all’incrociatore atomico pesante lanciamissili “1144 Orlan” (codice Nato “Kirov”). Oltre a 60 missili da crociera antinave, 128 guidati antiaerei (probabilmente una variante del S-400 o del S-500) e 16 guidati antinave (forse una variante del supersonico “Tsirkon”), il vascello sarà dotato di altri sistemi antimissile e antisom e potrà portare attacchi a terra con missili alati a lungo raggio “Kalibr-NK”. Il nuovo caccia dovrebbe essere a propulsione atomica, sviluppare una velocità di 30 nodi e un’autonomia di 90 giorni. Il varo del primo esemplare è previsto non prima del 2020.

Ma, già in occasione della mostra internazionale “Armija-2016” a Mosca, il prossimo settembre, dovrebbe venir presentato il primo drone russo da attacco a medio raggio. Non è ancora stato specificato se il nuovo apparecchio senza pilota ripeterà i modelli già realizzati del tipo “kamikaze”, come gli “Harop” di produzione israeliana, utilizzati dall’Azerbaidzhan nei recenti scontri nel Nagorno-Karabakh: cioè rilevamento dell’obiettivo e sua liquidazione, con relativa autodistruzione.

Il tema cruciale in discussione in questo periodo a Mosca, però, accanto alle esercitazioni Nato nell’area del Baltico e della Polonia, è la possibilità che l’Alleanza atlantica dispieghi in modo permanente – su “richiesta rumena”, secondo le dichiarazioni del Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg – una flottiglia nel mar Nero, ipotesi definita al Ministero degli esteri russo “pericolosa” e di “carattere destabilizzante”. “Non è un’area di espansione della Nato” ha detto il responsabile del Ministero per i rapporti europei Andrej Kelin; “nel mar Nero c’è assoluta libertà di navigazione e non credo che” una presenza permanente “migliorerebbe i nostri rapporti con la Nato”.

Accanto alla presa di posizione diplomatica, c’è chi, in maniera ufficiosa, prende di petto la faccenda e ne parla come di un’ipotesi gravida di pericoli: più delle crisi del Viet Nam e dei Caraibi. Il canale Zvezda scrive che il sempre più esteso avvicinarsi di armi americane alle frontiere russe impone a Mosca di affiancare, al lavoro diplomatico, un allargamento della presenza militare russa nel mondo. E, a titolo di esempio, Zvezda ricorda il lavoro degli specialisti militari sovietici a Cuba, in Polonia, Germania, Finlandia, Somalia, Viet Nam, Siria, Jemen, Etiopia, Egitto e Libia, anche se, sottolinea, l’Urss non ha mai avuto una rete così estesa di basi  come quella degli USA, con decine di unità navali e aeree quotidianamente impegnate in attività di ricognizione. Oggi, si può parlare di Latakia e Tartus, i due maggiori porti della Siria; oppure del Viet Nam, non solo come acquirente di armi russe, ma anche come potenziale area per basi aeronavali della flotta russa del Pacifico. “Si può supporre” scrive Zvezda, che “il ritorno della flotta militare russa nel mar Cinese Meridionale possa indurre gli Stati Uniti a rivedere il grafico delle “visite di amicizia” nel mar Nero. Dato il confronto in atto tra Cina e Giappone e che gli USA prendono le parti del proprio satellite, la comparsa della flotta russa non sarebbe superflua”. Molto più delicata la questione cubana, dato il precedente che per poco non portò alla Terza guerra mondiale e viste anche le attuali aperture tra L’Avana e Washington; ma, scrive l’osservatore della Tass Viktor Litovkin, non necessariamente Mosca dovrebbe avere una base sull’isola e sarebbe sufficiente la “possibilità per i nostri bombardieri strategici di atterrare e fare rifornimento”. Un esempio è stato dato dal recente volo fino al Venezuela e poi l’atterraggio a Managua, di un bombardiere strategico Tu-160 che, con i missili di bordo, ha creato non poca tensione tra l’aviazione Nato.

Ma, a detta della maggior parte degli esperti, scopo degli USA non è il confronto militare diretto con la Russia, ma il suo coinvolgimento in una nuova corsa agli armamenti in cui Mosca, come accadde per l’Unione Sovietica, sarebbe costretta a impegnare ingenti risorse che, alla fine, prosciugherebbero la sua economia. Vista l’esperienza, scrive perciò Viktor Murakhovskij, “non si deve reagire in modo diretto alle mosse USA. Le nostre risposte devono essere asimmetriche e non dispendiose”. Una di queste potrebbe essere data da manovre navali congiunte, con la presenza di portaerei dei paesi BRICS: “un’alleanza che, a un certo livello, rappresenta l’alternativa a Nato e USA”, afferma Aleksej Leonov.

E dunque, per quanto riguarda la flottiglia Nato nel mar Nero, con vascelli rumeni, turchi, bulgari e americani e la possibile presenza anche di navi tedesche e italiane? Al momento, gli esperti militari consultati da Zveza consigliano di non cadere nelle provocazioni: eventuali mezzi di risposta di Mosca esistono già ora: i sistemi missilistici di difesa costiera, oltre all’aviazione strategica e ai missili a bordo dei sommergibili.

Considerato tale potenziale russo, non pare dunque completamente fuori luogo la dichiarazione rilasciata ieri dal Segretario Nato Jens Stoltenberg, secondo cui il suo vice, Aleksander Vershbow e il plenipotenziario russo presso l’alleanza atlantica, Aleksandr Grushko, sono pronti a discutere, al Consiglio Russia-Nato – in programma prima del vertice Nato di Varsavia del prossimo luglio – la questione del dispiegamento di quattro battaglioni di paesi Nato a rotazione, nell’Europa orientale, potenzialmente già programmata per inizio 2017. Dichiarazione ovviamente già oggi corretta in un’intervista alla tedesca Bild, secondo cui si sta assistendo “a una colossale espansione del potenziale militare russo alle frontiere della Nato: nell’Artico, nell’area del mar Baltico, sui territori che vanno dal mar Nero al Mediterraneo. A ciò siamo costretti a reagire”.

La prossima richiesta della Nato sarà che Mosca arretri le proprie frontiere.

 

Fabrizio Poggi

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