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Gran Bretagna. Una petizione chiede di votare di nuovo per non votare più

Il giorno dopo le forze che più hanno da perdere con la Brexit si vanno riorganizzando. Hanno perso per un soffio (52 a 48, all’incirca), nonostante l’assassinio della deputata laburista Jo Cox abbia dato loro una mano gigantesca (i sondaggi, la matttina stessa dell’omicidio, davano uno scarto di circa dieci punti) al punto da far loro credere che i rapporti nell’opinione pubblica si fosseno definitivamente ribaltati.

Hanno dalla loro capitali multinazionali e nazionali senza limiti, una volontà egemonica ferrea e pronta a tutto. Per ora stanno scegliendo la “via morbida” (non si possono controllare le borse, naturalmente), quindi stanno lavorando su un’opinione pubblica britannica comunque sconcertata. Anche dalla parte dei vincitori, infatti, non mancano quelli che si stanno chiedendo ora come si gestisce una situazione del genere.

Aprire le procedure previste dall’art. 50 del Trattato di Lisbona, in effetti, è un inoltrarsi in terre sconosciute, visto che avviene per la prima volta e la procedura stessa sembra scritta in modo molto vago (come se fosse stata messa lì solo per dovere di completezza, dando per scontato che non sarebbe mai stata usata).

Una petizione per chiedere un nuovo referendum, sulla stessa domanda è partita da un sito del parlamento britannico e sembra in qualche ascrivibile ai seguaci di David Cameron, primo ministro dimissionario ma intenzionato a restare in carica fino al congresso conservatore di ottobre.

Neppure nel codice britannico è però prevista la ripetizione di un referendum, che è l’atto più sovrano di un popolo e dunque – per definizione – ne fissa la volontà chiara ad una certa data. Sarebbe insomma comprensibile se la domanda venisse riproposta tra dieci o venti anni, non a poche ore da un risultato sgradito per chi ha perso.

I firmatari chiedono dunque – al parlamento che promuove la petizione! – la promulgazione di una nuova legge che consenta la ripetizione di un referendum se non si è ottenuto almeno il 60% per un’opzione o l’altra. Il tasto delle firme ha raggiunto in poche ore il milione e settecentomila click e la notizia viene data in apertura di tutti i media pro-Ue.

Tecnicamente è una follia. Una legge del genere imporrebbe infatti di ripetere un referendum praticamente all’infinito, fin quando non si raggiunga la percentuale limite. Oppure, più probabilmente (non esiste un testo articolato di una simile proposta di legge, solo la richiesta di una legge che consenta la ripetizione) di considerare invalido un referendum che dà un risultato inferiore a quel limite (con molti problemi di legittimità visto che una simile legge non potrebbe comunque essere retroattiva).

Per capirci, con una regola siffatta, in Italia non avremmo avuto il divorzio, la possibilità di aborto legale e diverse altre norme che ci hanno cambiato in meglio la vita (secondo le regole italiane, infatti, conta il superamento di un quorum pari al 50% più uno degli aventi diritto al voto).

L’aspetto più assurdo, però, è che viene di fatto chiesto di rivotare per permettere al “remain” di ottenere una rivincita. Tutto bene, se questo non significasse però la richiesta di votare per avere il “diritto”… di non votare più su nessuna questione rilevante che viene decisa dall’Unione Europea sulle nostre teste.

In Italia siamo già in questa situazione perché la Costituzione non prevede referendum sui trattati internazionali (e le leggi di bilancio, ossia la “finaziaria” ora “legge di stabilità”). Mentre in altri paesi europei questa facoltà esiste ancora.

In ogni caso, però, una serie di materie sono già state sottratte per sempre alla sovranità degli stati nazionali, al punto che molti trattati non vengono neppure più votati dai singoli Parlamenti. Il Ttip, per esempio, trattato attualmente in fase di negoziato tra Unione Europea e Stati Uniti, sarà firmato direttamente dalla Commissione Europea (il “governo” della Ue), senza approdare mai né a Montecitorio, né al Reichstag o altri aule parlamentari.

E tutto ciò, spiega la commissaria al commercio, la svedese Cecilia Malmstroem, è “prfettamente democratico” perché i governi nazionali hanno rinunciato a tale facoltà per sempre, delegandola alla Commissione.

Qui l’intervista in cui si “rivendica” questo furto di democrazia: http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ttip-e-democratico-anche-senza-il-voto-dei-parlamenti/.

 

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2 Commenti


  • antonio

    a titolo informativo, è altamente probabile che i voti della petizione siano tutti farlocchi. Io che sono italiano (e quindi se ci fosse il minimo controllo su chi firma verrei sgamato subito dall’indirizzo IP) l’ho firmata CINQUE VOLTE con cinque nomi diversi di “cittadini inglesi” dai nomi credibili come “remainsuckmycock”


  • Roberto Sassi

    «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo» Bertolt Brecht

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