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La vittoria della “Brexit” vista da Mosca

Se l’autocritica, il riconoscimento dei propri errori, costituisce una buona fetta sul percorso del loro superamento, si può stare tranquilli: i liberali occidentali non ne usciranno mai; per loro, la colpa è sempre degli altri. La cosa si ripete in questi giorni a proposito della vittoria del Sì alla Brexit britannica.

Secondo l’ex ambasciatore USA a Mosca, Michael McFaul, il successo della Brexit è una vittoria di Putin: “Hanno perso tutti coloro che credono nei vantaggi di un’Europa forte, unita e democratica”, ha twittato il rappresentante della nazione “più democratica del mondo”. Ma anche negli altri paesi a “consolidata democrazia”, la maggior parte dei media e dei politici che si sono spesi nei commenti sulla Brexit non hanno resistito alla tentazione di tirare in ballo il nome di Vladimir Vladimirovič. Il Ministro degli esteri di Sua maestà, Philip Hammond, ieri aveva ironizzato: “Sospetto che questa mattina Vladimir Putin si sentirà sollevato e respirerà a pieni polmoni”. La russa RT, che ha condotto un breve excursus dei commenti occidentali, rileva come molti di questi, sottintendendo il tema Brexit, scrivano che “Se sosteniamo Vladimir Putin, significa che non andiamo nella direzione giusta”; oppure che il voto britannico è il risultato della campagna propagandistica nella quale il Cremlino è stato utilizzato per spaventare i fautori del “remain”. E’ stato detto agli elettori: “Avete diritto di votare per l’uscita britannica dall’Unione europea, ma allora fornirete a Putin un ulteriore motivo di esultanza”. Lo stesso David Cameron ha sostenuto che possono esser felici per l’uscita del paese dalla UE Vladimir Putin e Abu-Bakr al Baghdadi. Ma tutto questo non è bastato a dare la vittoria al “remain”, nonostante che, stamani, la petizione per chiedere l’indizione di un nuovo referendum (lo consentirebbe la norma secondo cui se le percentuali per il sì o il no sono inferiori al 60% e l’affluenza inferiore al 75%, si deve indire una nuova consultazione) avesse già raccolto oltre un milione di firme, sulle centomila necessarie.

Il politologo Martin McCauley commenta che “I fautori della permanenza nella UE avevano bisogno di trovare un colpevole e di dare una spiegazione alla loro sconfitta. Dal momento che il male d’Europa è considerato Vladimir Putin, ecco che lui è il principale accusato”. Invece di “analizzare le cause della disfatta dell’idea di adesione all’UE, che risiedono nell’economia, nella sfera sociale e politica, tutti hanno scelto di ignorarli e concentrarsi sull’immagine del “cattivo russo”, dice McCauley.

A proposito dell’agitazione a favore del “remain”, ancora una volta fallita negli intenti, nonostante la massiccia campagna propagandistica a suon di sondaggi puntualmente ribaltati, Pravda.ru nota come la “UE si sia dimostrata una dittatura antidemocratica e, come risultato, il numero di insoddisfatti e di euroscettici sia considerevolmente cresciuto”. Nel caso britannico, scrive Pravda.ru, non si tratta di un fallimento del solo Cameron, ma dell’intero sistema di direzione europeo. Era già accaduto con l’Olanda e “se il risultato finale del ciclo di gestione” della campagna “informativa” e orientativa dei media “è peggiore che all’inizio, si tratta di un fallimento definitivo. Fosse stato un esito isolato, si potrebbe attribuirlo al caso. Ma tali fallimenti si susseguono uno dopo l’altro: si può dunque parlare di crisi sistemica dei sistemi di gestione”.

Secondo il vice speaker della Duma russa, Aleksandr Romanovič, la Brexit ha dimostrato che l’Unione europea, concepita principalmente come associazione economica, si è trasformata in un mostro sovranazionale che toglie sempre più sovranità agli stati. Punti di svolta, dice Romanovič, sono stati le sanzioni antirusse e la crisi migratoria: “molte imprese europee, a causa delle nostre controsanzioni, hanno perso un mercato immenso e le persone semplici hanno perso lavoro e stipendio, ma Bruxelles testardamente ha detto che la politica viene prima dell’economia”. Anche molti politici italiani, francesi, spagnoli, greci, portoghesi e di altri paesi, continua Romanovič, chiederanno probabilmente l’indizione di referendum come quello britannico e, “a giudicare dai dati sociologici, i risultati possono essere simili. La gente è stanca dei diktat dell’euroburocrazia, sempre più spesso chiede di rinunciare all’Euro, si oppone alla guida della Germania, che durante il governo di Angela Merkel non ha fatto altro che tirare sempre più la coperta dalla propria parte; al tempo stesso, crescono velocemente le forze politiche nazionalistiche. L’eventuale referendum scozzese per l’uscita dalla Gran Bretagna potrebbe accelerare l’aumento degli umori separatistici in tutta Europa”.

D’altra parte, a parere degli analisti di “Sberbank CIB”, la vittoria della Brexit potrebbe portare a uno scollamento tra i paesi europei sul tema delle sanzioni antirusse e potrebbe accelerare la loro eliminazione: “Dei tre leader ufficiosi della UE – Gran Bretagna, Germania e Francia – la prima è sempre stata la più inflessibile sostenitrice delle sanzioni. Anche considerando che Londra rimanga ancora formalmente, per due o più anni, nella UE, la sua influenza risulta molto indebolita dall’esito del referendum; anche se, però, si può prevedere che continuerà nella politica delle sanzioni per proprio conto, insieme agli USA”. Come ammoniva Ovidio a proposito del turpe Tereo “O dei, che tenebra fitta c’è nelle menti dei mortali”.

 

Fabrizio Poggi

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