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Idv-Fiom: referendum su art. 8 e art. 18


L’idea è stata immediatamente accolta bene dalla Fiom, mentre ancora nessuna reazione si è avuta da parte del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Ad occhio, e tenuto conto di come ha congelato tutte le mobilitazioni contro la “riforma” del mercato del lavoro (fino al ridicolo di uno sciopero generale proclamato ma mai effettuato), è probabilissimo che l’iniziativa le faccia venire l’orticaria. Come a tutto il Pd.

Da segretario della Cgil non può ovviamente criticare chi, anche strumentalmente, propone di restituire un diritto ai lavoratori. Da “cinghia di trasmissione” del Pd non può far nulla che disturbi il solenne appoggio di quel partito al governo Monti.

Per la Fiom è naturalmente l’occasione di uscire fuori dalla trappola in cui Monti, Marchionne, Camusso-Bonani-Angeletti e Federmeccanica avevano cercato di chiuderla, ritrovando una centralità e anche una sponda politica.

A sinistra, l’unica adesione certa e senza problemi è quella di Paolo Ferrero (Rifondazione-Federazione della sinistra); silenzio ufficiale, per ora, da parte di Vendola, che ha lo stesso problema di Camusso, aggravato dalla lunga frequentazione con i vertici della Fiom (con cui sembra arrivato a fine rapporto).

Nel sindacalismo conflittuale la novità è accolta con giusta circospezione. Evidente il carattere strumentale dell’iniziativa di Di Pietro, ma anche evidente che i temi del lavoro non possono essere ceduti – anche solo mediaticamente – a chi fin qui non se n’era occupato.

E quindi. Giorgio Cremaschi, ex dirigente nazionale Fiom, leader dell’area Cgil “Rete28Aprile” e impegnato nel movimento “No debito”, dice: “può essere uno strumento utile tra un anno, ma oggi sarebbe drammatico puntare solo su questo. Nel 2014, quando si voterebbe, staremo come la Grecia. Se il referendum si affianca ad altre iniziative si può sostenere, se è sostitutivo (perchè cè la campagna elettorale) potrebbe addirittura essere negativo”.

Tomaselli, coordinatore nazionale dell’Usb settore privato: “se si fa, si farà tra due anni. E’ evidente che Di Pietro usa la raccolta di firme nei prossimi mesi perchè è in campagna elettorale e al momento non mi sembra che ci sia la forza per caratterizzare la campagna in modo diverso. Inoltre ci sono altri compagni che sono molto scettici sui referendum in materia di diritti del lavoro, le esperienze passate sono state tutte negative”

Qui di seguito gli articoli apparsi oggi su il manifesto.

In difesa dei diritti negati

Antonio Di Pietro * Maurizio Zipponi **

Il 1 agosto l’Italia dei Valori ha consegnato in Cassazione quattro quesiti referendari, di cui due relativi al ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e dei diritti universali previsti dal contratto nazionale (art. 8). Gianni Rinaldini, in un’intervista pubblicata su il manifesto del 4 settembre scorso si è rivolto direttamente a noi, chiedendo un «gesto di generosità e di apertura» verso tutte quelle forze che hanno combattuto ieri il governo Berlusconi-Lega e oggi le scelte antipopolari di Monti, in particolare sui temi sociali, al fine di creare un ampio fronte unitario.
La risposta è semplicemente sì. Accogliamo l’invito di Rinaldini. Il nostro obiettivo è quello di diradare il fumo della politica attraverso temi concreti in cui ognuno deve dire da che parte sta in modo tale che i SI siano sì e i NO siano no.
Il lavoro che manca, quello precario, i diritti dei lavoratori oggi calpestati; dalla Fiat all’Alcoa, dall’Irisbus a Termini Imerese, fino alle partite Iva senza voce e rappresentanza sono i temi per costruire un’alternativa di governo con le forze migliori del paese che sono la maggioranza e che cercano una seria e rigorosa rappresentanza che sappia governare con onestà, ripristinando i diritti e la legalità previsti dalla nostra Costituzione repubblicana.
Le alleanze tra i partiti, senza questo filtro, servono solo a riprodurre i vecchi schemi politici e gli attuali gruppi di potere finanziario-oligopolistico.
Per l’Italia dei Valori la discontinuità al governo Monti, e il programma alternativo alle sue politiche neoliberiste, sono lo spartiacque per costruire, anche con i movimenti, obiettivi comuni, partendo dalla volontà di abrogare le leggi liberticide della Fornero, ma indicando soprattutto le soluzioni e le proposte per un vero esecutivo riformatore. Non a caso abbiamo presentato una proposta di legge sulla democrazia e sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro che consegna al voto libero e segreto dei lavoratori il potere di decidere sia sulla validità degli accordi sia sui propri rappresentanti. Proprio come richiesto dalle oltre centomila firme che la Fiom raccolse per chiedere democrazia dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Per passare dalle chiacchiere ai fatti siamo usciti dai palazzi e dalle consultazioni nei sottoscala, combattiamo i conflitti d’interesse e i falsi in bilancio, i privilegi e i furti della classe dirigente. Siamo distanti dalla logica di leggi elettorali che riproducono all’infinito chi ha fallito, mentre vogliamo favorire la partecipazione diretta della società civile e dei cittadini, così com’è accaduto con i referendum di giugno 2011.
Per questo, abbiamo presentato quattro quesiti referendari, due sul lavoro, uno contro i privilegi della casta e uno contro il finanziamento pubblico ai partiti. Nell’accogliere l’invito di Rinaldini che ci ha chiesto di tornare in Cassazione con un nuovo comitato promotore allargato, sottolineiamo che, in questa fase, conta molto la capacità di ognuno nel mobilitare i cittadini per generare attenzione, sensibilità e voglia di reagire. Ci servono milioni di firme per consolidare il processo di cambiamento delle idee e della classe dirigente. Saranno importantissimi i comitati di sostegno ai referendum in cui tutto il mondo del lavoro, della cultura e dell’informazione può agire per vincere.
Questi referendum possono incidere profondamente sulle scelte del prossimo governo e dell’opposizione, se dovesse perpetuarsi la continuità dell’attuale maggioranza Pd-Pdl-Udc. I primi giorni di ottobre partirà la raccolta di firme che dovranno essere consegnate entro 3 mesi. Serve quindi un’organizzazione capillare, con migliaia di volontari per i banchetti, per la certificazione, per la presenza costante nei quartieri e nei paesi. Il tempo è poco ma possiamo farcela perché l’auspicio di Rinaldini e la nostra volontà di costruire un fronte libero e democratico possano permettere l’unità di tutte le forze del cambiamento per partecipare alla rinascita del Paese. Partiamo dal riscatto e dal valore del lavoro per uscire dalla crisi e generare crescita in un paradigma dello sviluppo, che introietti un nuovo equilibrio con l’ambiente e con i tempi di vita.
*Presidente Italia dei Valori
** Responsabile nazionale Dipartimenti tematici IdV

Una buona notizia

Loris Campetti Un fantasma è pronto ad aggirarsi nei cieli della campagna elettorale prossima ventura. Non è il fantasma del comunismo ma quello del lavoro, cancellato, precarizzato, silenziato e svuotato dei diritti. Ciò avverrà grazie a un impegno che coinvolge molti soggetti e alla disponibilità che Antonio Di Pietro esprime sul nostro giornale a trasformare i due referendum sull’art.8 e sull’art.18 in una battaglia comune per il ripristino della democrazia nei luoghi di lavoro. Una sfida che vedrà protagoniste nella raccolta delle firme, insieme e con un comitato promotore ampio, le forze politiche, sindacali, editoriali, dell’intellettualità e dell’associazionismo impegnate nella difesa dei diritti dei lavoratori. Questo vuol dire che un’alleanza naturale, basata sul comune impegno per il ripristino della democrazia negata (almeno dagli ultimi due governi), imporrà all’attenzione di chi si presenterà alle elezioni un confronto di merito, concreto, sul lavoro. Come scrivono Di Pietro e Zipponi, che i Sì siano Sì e i No siano No.
Chi scende in campo contro le destre e per superare l’anomalia del governo Monti deve assumersi precise responsabilità verso i cittadini e i lavoratori. Per dare il nome alle cose, o il Pd si impegna a liberarci dall’art.8 della manovra berlusconiana del 2011, che cancella i contratti nazionali di lavoro e a liberare dalla gabbia che gli hanno costruito Monti e Fornero l’art.18, che impone(va) la riassunzione dei lavoratori ingiustamente licenziati, oppure la parola tornerà ai cittadini con i referendum che si svolgeranno tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Senza questo impegno, partiti e schieramenti in lizza dovranno mettere in conto la punizione, nell’urna, di chi si aspetta una rottura con le politiche liberiste, subalterne a un modello che ieri ha provocato la grande crisi facendo strame di lavoro e diritti e oggi pretende di farne pagare le conseguenze, ancora una volta, alle vittime.
L’annuncio di una campagna referendaria unitaria è, finalmente, una buona notizia che il manifesto ha contribuito a costruire, come anche le forze che hanno denunciato lo scempio dei diritti dei lavoratori. A cominciare dalla Fiom, per prima e quasi in solitudine con la denuncia del carattere autoritario e classista del modello Marchionne, assunto invece dall’insieme del padronato, da gran parte dei partiti e dai governi Berlusconi e Monti. È anche importante che uno schieramento, che comprende con l’Idv anche le forze oggi extraparlamentari di sinistra, da Sel al Prc, nasca a partire dai contenuti, tanto più che i contenuti si possono riassumere in una parola: democrazia.

La proposta della Fiom

ARTICOLO Fermare la trattativa «separata» sul contratto nazionale e raggiungere un «accordo per il lavoro». Contratti di solidarietà sul modello tedesco. Le tute blu sosterranno i referendum

Francesco Piccioni
La Fiom era circondata e doveva provare a uscire dall’angolo. Lo fa alla sua maniera, con intelligenza e determinazione, calcolando attentamente i rapporti di forza attuali, sul piano sindacale e su quello politico.
Al di là delle frasi di circostanza, appare infatti chiaro che delle forze politiche convocate a giugno per sottoporre loro il problema della tutela del lavoro, soltanto l’Idv di Di Pietro e gli «extraparlamentari» di Rifondazione, ecc, sono praticamente pronti a mettere in piedi un’iniziativa referendaria (sulla maggioranza del parlamento attuale, e forse anche del prossimo, è bene fare non troppo conto) per annullare la cancellazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e l’art. 8 della «manovra d’agosto» 2011, firmata da Maurizio Sacconi, che permette accordi aziendali in deroga ai contratti nazionali, alle leggi e forse anche ai dieci comandamenti.
Il Comitato centrale della Fiom finirà di discutere oggi, ma le proposte avanzate dal segretario generale, Maurizio Landini, sono state illustrate in una conferenza stampa molto seguita. Referendum a parte, che ovviamente vede le tute blu favorevoli e pronte a raccogliere le firme, senza porre problemi di «primogeniture» né di presenza nel comitato promotore, i temi principali per i metalmeccanici dell cgil sono due: il rinnovo del contratto nazionale e la crisi del tessuto industriale italiano. Una situazione di «assoluta emergenza» che impone «un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le controparti».
Sul contratto, soprattutto, la situazione è molto complicata. Fim e Uil hanno cominciato a discutere con Federmeccanica del rinnovo dell’accordo separato del 2009, che la Fiom non ha firmato e non riconosce (non a caso ha gestito anche alcune cause giudiziarie sulla base del contratto unitario del 2008, scaduto comunque il 31 dicembre scorso). Già questo cosituisce addirittura una «violazione palese dell’accordo interconfederale del 28 giugno» 2011, firmato anche dalla Cgil ma duramente contestato dalle tute blu. Ma il fatto più grave è che il 19 settembre, nel prossimo incontro tra Federmeccanica, Fim e Uilm, possa essere siglato un «contratto» sulla base delle richieste delle imprese. Un insieme di «deroghe» che cancella di fatto la contrattazione nazionale: minimi salriali flesibili e non obbligatori, aumento dell’orario da 40 a 45 ore (250 ore di straordinari non contrattabili nella piena disponibilità delle aziende), non pagamento dei primi tre giorni di malattia, totale derogabilità a contratti e leggi).
Il pericolo – avverte Landini – «è che se nemmeno l’accordo del 28 giugno riesce ad avitare i contratti separati, salta ogni quadro di regole». Lì dentro, nonostante i tanti vuoti, c’era almeno la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali. Così, invece, «due sigle che rappresentano meno del 20% pretendono di firmareaccordi validi per tutti». Mentre la Fiom che tra iscirtti e voti prende molto di più delle altre sigle messe insieme, è esclusa. «In politica vogliono il premi di maggioranza, qui la maggioranza è tenuta fuori».
La proposta che il Cc dovrebbe approvare è dunque semplice: «facciamo un ‘accordo per il lavoro’ che valga da qui al 2013». Ognuna delle parti si tenga le proprie proposte per dopo, quando e se la crisi sarà superata. Ora, dice Landini, «la priorità è difendere i posti di lavoro e impedire la scomparsa di interi settori industriali», di interi territori produttivi. Le questioni che andrebbero affrontate in questo «patto» sono dunque la defiscalizzazione di quote di salario a livello nazionale (non soltanto di quello «aggiuntivo» o degli straordinari), evitare chiusure e licenziamenti facendo ricorso – come nel tanto nominato e mai studiato «modello tedesco» – ai contratti di solidarietà e incentivando fiscalmente (diminuendo il relativo «cuineo») soltanto quelle imprese disposte ad accordi di questo tipo.
Sono temi che coinvolgono direttamente il governo, com’è ovvio, chiamato anche a «discutere di politiche industriali», perché non è possibile accettare – come nel caso dell’Alcoa – un «non si può far nulla». Altri passaggi riguardano la possibilità di usare il fondo pensione integrativo – «savaguardando gli scopi per cui esiste» – per favorire la difesa del patrimonio industriale, invece che investendoli in buoni del tesoro o azioni straniere. O anche la riunificazione dei contratti dell’industria in uno solo.
Avvertendo che la Fiom «non accetterà mai «accordi illegittimi» e che «metteremo in campo tutti gli strumenti a nostra disposizione», la segreteria chiederà al prossimo Direttivo della Cgil di fissare – finalmente – la data dello sciopero generale proclamato in marzo. Ma rimasto nei comunicati.

da “il manifesto”

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