Menu

Missili Usa in Corea del Sud, Pechino reagisce

“Seoul e Washington si sono accordati per il dispiegamento di sistemi antimissilistici THAAD (Terminal High Altitude Area Defense) nella Corea del Sud”, titolava ieri la Tass; che, detta così, dà l’idea di una decisione “alla pari”, come se Seoul, invece di eseguire come di consueto gli ordini USA, avesse potuto o voluto dire di no. Ovviamente la decisione è “una misura difensiva, sullo sfondo delle minacce della Corea del Nord, legate al suo programma nucleare e ai missili balistici”. Il sistema THAAD, naturalmente sotto esclusivo comando del US Forces Korea, composto di 6 rampe mobili, 48 intercettori, sistema radar e di controllo del tiro e costo stimato in 1,3 miliardi $, è destinato a intercettare testate di missili balistici, nella fase centrale-terminale della traiettoria e nell’avvicinamento all’obiettivo. Del dispiegamento si parla almeno dal febbraio scorso, dopo i test missilistici di Pyongyang e, secondo i piani USA, il sistema dovrebbe entrare in funzione non oltre la fine del 2017.

Non si è fatta attendere la risposta nord-coreana: intorno alle 4 (ora italiana) di stamani, Pyongyang ha effettuato un nuovo esperimento di lancio di missile balistico da sottomarino, nelle acque a est di Sinpo, nella provincia di Hamgyong. La notizia è stata diffusa dall’agenzia sud-coreana Yonhap (l’organo ufficiale del Partito del lavoro nord-coreano, Rodong Sinmun, per ora non ne dà notizia), secondo cui il missile sarebbe esploso a un’altitudine di 10 km. E’ questo il primo lancio subacqueo, dopo quello del 23 aprile scorso, allorché un missile balistico esplose dopo aver percorso circa 30 km.

Un mese fa, al Asia Security Summit di Singapore, Pechino aveva espresso la speranza che la Corea del Sud non avrebbe ospitato il sistema THAAD, sottolineando che “la Cina ritiene che il dispiegamento del complesso antimissile non rientri nel quadro delle necessità difensive tanto degli USA, quanto della Corea del Sud”. Ieri l’agenzia Xinhua scriveva che USA e Corea del Sud hanno deciso il dispiegamento del THAAD, “nonostante l’opposizione dei paesi vicini, di Cina e di Russia”. Un comunicato del Ministero degli esteri cinese ha ribadito che Pechino “è fortemente insoddisfatta e fermamente contraria al dispiegamento del THAAD in Corea del Sud, che può destabilizzare la penisola coreana e non è costruttivo per la sua denuclearizzazione. Nel comunicato si dice che la mossa va contro gli sforzi per placare le tensioni regionali con il dialogo e si esortano Stati Uniti e Repubblica di Corea a “non intraprendere azioni che tendono a complicare la situazione regionale e danneggiare gli interessi della sicurezza strategica della Cina”. Anche gruppi di attivisti civili sudcoreani affermano che il dispiegamento del THAAD rischia di scatenare la corsa agli armamenti nell’Asia nord-orientale e aumentare le tensioni regionali.

Da parte di Pyongyang, pur senza riferimento specifico al THAAD, si è detto ieri che “Stati Uniti, autorità sudcoreane e altre forze ostili usano il sofisma delle armi nucleari della Corea del Nord quale “minaccia” per la pace nella penisola coreana e in altre parti del mondo e che nessun problema può essere risolto prima che si raggiunga la denuclearizzazione del Sud”. Gli Stati Uniti, scriveva ieri il Rodong Sinmun, hanno rifiutato la proposta della Corea del Nord di sostituire l’accordo di armistizio con un trattato di pace, adducendo condizioni assurde quale il “preliminare smantellamento delle armi nucleari del Nord”. La  denuclearizzazione, “come la intende la RDPC” scrive il Rodong Sinmun, “significa la denuclearizzazione dell’intera penisola coreana e questo include lo smantellamento delle armi nucleari in Corea del Sud e nei suoi dintorni. Se gli Stati Uniti e le autorità sudcoreane hanno un minimo di interesse alla denuclearizzazione della penisola coreana, dovrebbero accettare le proposte” della Corea del Nord: apertura al pubblico di tutti i siti nucleari; smantellamento di tutte le armi e basi nucleari con una verifica pubblica mondiale; gli Stati Uniti dovrebbero garantire di non portare attacchi nucleari a partire dalla Corea del Sud o da altri siti atomici schierati nelle vicinanze e impegnarsi a non intimorire la Corea del Nord con armi nucleari.

La tensione nell’area è resa ancora più acuta dalla questione del mar Cinese Meridionale, un’area su cui, anche giovedì scorso, Pechino aveva ribadito che nessuna sentenza del tribunale arbitrale de L’Aja (cui le Filippine si sono rivolte nel 2013 e la cui decisione è attesa a giorni) ha effetto sui diritti marittimi cinesi, perché il caso è essenzialmente legato a sovranità territoriale e delimitazione marittima. La Cina ha una sovranità indiscutibile sulle isole del mar Cinese Meridionale, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli esteri, Hong Lei; sia la Dichiarazione del 1958 del governo della RPC sul mare territoriale, sia la Legge del 1992 sul mare territoriale e la zona contigua, prevedono espressamente che il territorio della Cina comprende, tra le altre, le Isole Dongsha, Xisha, Zhongsha e Nansha, ha detto Hong, aggiungendo che Pechino si esprime per consultazioni dirette tra Cina e Filippine.

Nel corso di un incontro con il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, il Ministro degli Esteri Wang Yi ha detto che il rifiuto delle Filippine al dialogo e il suo ricorso unilaterale all’arbitrato, violano lo spirito dell’UNCLOS, non sono costruttive per una soluzione pacifica delle controversie e attizzano anzi le tensioni nel mar Cinese Meridionale.

Il 5 luglio scorso, Pechino aveva detto che il mar Cinese Meridionale era una “regione pacifica, prima che gli Stati Uniti ci mettessero il naso”. Secondo la Xinhua, le frizioni nella zona risalgono alla fine del 1960, allorché ricercatori statunitensi vi scoprirono ricche riserve di gas e petrolio e, da allora, alcuni paesi rivieraschi hanno iniziato a occupare le isole. La Xinhua riportava nei giorni scorsi anche l’opinione del politologo russo Timofei Bordacev secondo cui, dietro le dichiarazioni sulla libertà di navigazione nel mar Cinese Meridionale, “Gli Stati Uniti cercano di accerchiare la Cina, con l’obiettivo di ridurre al minimo la sua forza e stabilire il loro controllo sulle arterie economiche. La militarizzazione del mar Cinese Meridionale è data in realtà dalla maggiore presenza nella regione da parte della marina USA, così come dei suoi alleati, in primo luogo Gran Bretagna e la Francia”, ha detto Bordacev, anche se ritiene “improbabile che gli Stati Uniti possano essere coinvolti in un conflitto militare con la Cina a causa delle ambizioni delle Filippine”.

In un video di pochi minuti diffuso ieri dalla XHNews, Pechino risponde alle dichiarazioni rilasciate un mese fa dal Segretario di stato USA Ashton Carter in occasione del “Shangri-La Dialogue”, secondo cui “la Cina finirà per erigere una Grande Muraglia di autoisolamento”. La Cina “rimane aperta al dialogo” ha detto l’anchorman Jin Jing, “nelle sedi regionali quali ASEAN o il progetto della Via della Seta. Chi sta tentando di isolare la Cina sono gli USA che, con navi, aerei spia, manovre militari nel mar Cinese Meridionale, cercano di inserire un cuneo tra la Cina e i paesi vicini. Il mar Cinese Meridionale è rimasto un’area pacifica, fino a che Washington non ha lanciato il suo “Pivot to Asia”. Le parole di Carter sono un retaggio della guerra fredda contro la Cina”.

Intanto, sempre ieri, squadre navali delle flotte cinesi di Nanhai, Beihai e Donghai hanno iniziato esercitazioni nell’area prossima alle isole Hainan e Xisha.

Mentre la Nato a guida USA, in Europa, punta sempre più a est, anche l’Estremo Oriente è sottoposto a una pressione yankee come non si vedeva da decenni e Washington non si preoccupa di nascondere quali siano, in uno scacchiere e nell’altro, gli obiettivi da colpire.

 

Fabrizio Poggi

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *