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Washington accetta lo status speciale del Donbass?

Appena una settimana fa, al termine della riunione del Gruppo di contatto a Minsk, il rappresentante della DNR, Denis Pušilin aveva dichiarato che l'Ucraina ha dimostrato di essere orientata a un dialogo costruttivo. Se il via all'arretramento dei reparti dal fronte è legato all'osservanza del cessate il fuoco, le notizie dal Donbass non lasciano grosse speranze sul processo di pace. Non è ancora passato un giorno senza che le truppe ucraine abbiano bersagliato, con armi leggere o di grosso calibro, qualche villaggio o quartiere di città di DNR e LNR. La scorsa notte è toccato prima al rione Petrovskij di Donetsk e, dopo, alla zona industriale di Jasinovata, a essere presi di mira con mortai da 82 e 120 mm, lanciagranate e armi automatiche. Colpita ripetute volte anche Zajtsevo, nel nord della DNR. Questo, a fronte dell'ordine impartito alle milizie, già dal 14 settembre scorso, di osservare un assoluto cessate il fuoco e non rispondere in nessun caso alle provocazioni ucraine.

In effetti, già il giorno successivo all'incontro di Minsk, il 22 settembre, News-front scriveva che i comandanti in campo ucraini si rifiutavano di ottemperare agli accordi sul ritiro delle truppe dalla linea di contatto, col pretesto che il previsto arretramento di un km ciascuno, sia da parte delle truppe di Kiev che delle milizie, avrebbe avvantaggiato queste ultime, che si verrebbero a trovare in una posizione superiore del terreno. E' probabile che tra quei comandanti ci sia anche qualche caporione dei battaglioni neonazisti, di quelli che il Ministero degli interni e il suo capobanda, Arsen Avakov, avevano reclutato tra la criminalità comune e assorti poi a leader di bande terroristiche quali “Šakhtërsk” o “Tornado” che, nella zona di Stanitsa Luganskaja, hanno avuto modo di continuare rapine, saccheggi, assassinii e stupri, senza per questo finire sotto processo, ma anzi ricevere encomi.

Quantunque, la maggior parte di essi pare sia già tornata a praticare quelle “lecite” attività nelle città ucraine: l'ultimissimo esempio è l'episodio avvenuto domenica scorsa nel centro di Dnepropetrovsk, in cui una multa per divieto di sosta inflitta a un ex “eroe” di “Tornado” è costata la vita ai due malcapitati vigili urbani.

Ma ora, quando mancano pochi giorni alle cosiddette “primarie” (si terranno il 2 ottobre) per scegliere i candidati in vista delle elezioni locali in DNR e LNR, previste dalla road map illustrata dai Ministri degli esteri tedesco e francese, Frank-Walter Steinmeier e Jean-Marc Ayrault, per l'attivazione degli accordi di Minsk, ci sarebbe un fatto apparentemente nuovo. Ancora su News-front, Svjatoslav Knjazev scrive che il vice Presidente USA Joe Biden avrebbe accettato, a nome di Kiev, il riconoscimento dello status speciale per il Donbass. Biden, modificando leggermente la precedente impostazione di Washington, ritiene che Mosca non intenda conquistare l'Ucraina, ma solo raggiungere un cambio di potere tale da “riportarla sotto l'influenza russa”. Sembrerebbe un passo in avanti, rispetto a quando gli USA sostenevano le sparate di Petro Porošenko sui “200mila soldati russi in Ucraina” e apertamente appoggiavano i massacri della popolazione di lingua russa, così da provocare l'intervento di Mosca, poterla accusare di aggressione e metterla in contrapposizione alla UE. Essendosi le truppe ucraine dimostrate fragili sul campo ed essendo divenuto chiaro il degrado di criminalità e corruzione dell'Ucraina, così deleterio per gli affari occidentali (cui non nuoce però l'aperto neonazismo di regime) ecco che Washington, senza tuttavia abbandonare del tutto la precedente variante bellica, cambia registro e tenta di trascinare anche il Donbass nella stessa palude che sta affondando l'Ucraina. Non ci sarà alcuna federalizzazione del paese, scrive Knjazev; al massimo una decentralizzazione, che interesserà anche altre regioni ucraine, così che anche il Donbass si troverà a dover applicare leggi di Kiev come quelle, per dire, sulla decomunistizzazione o sulla eroicizzazione dei banderisti filonazisti e parte delle leadership di DNR e LNR verrà integrata nello establishment ucraino, parte verrà gettata in carcere e un'altra parte verrà lasciata libera di essere infangata dai media del regime.

Ma anche la nuova tattica di Biden appare troppo “spinta” ai nazionalisti ucraini. Il deputato di “Pravij Sektor” Borislav Bereza si è detto contrario – secondo sondaggi ufficiali, oltre la metà degli ucraini sarebbe contraria – allo status speciale per il Donbass:

"Se concediamo uno status speciale a quel territorio” ha detto, “non usciremo mai dall'influenza della Russia, non ci libereremo mai, non riusciremo a integrarci nella famiglia europea e verremo tirati indietro nel “sovok” (termine dispregiativo con cui si indicava l'Urss già in epoca sovietica).

L'integrazione nella “famiglia europea”, che tanto sta a cuore ai neonazisti ucraini, è quella per cui Kiev è riuscita nell'ultimo anno a ridurre ulteriormente le spese per pensioni (dal 18 al 12% del PIL) e assistenza sociale (dal 36 al 26%), “traguardo” di cui si vanta l'ex vice premier slovacco e attuale consigliere del Ministero delle finanze ucraino, Ivan Mikloš, il quale si rammarica di non aver potuto fare altrettanto per istruzione e sanità.

Intanto pende sempre più pericolosamente su Kiev il pericolo che i risultati definitivi dell'inchiesta sull'abbattimento del Boeing malese MH17, nel luglio 2014, confermino che l'aereo non fu colpito dalle milizie, come si affrettarono a “stabilire” tutti media ucraini e occidentali all'indomani della tragedia, ma da forze ucraine. Dopo le indiscrezioni divulgate un paio di settimane fa dalla commissione internazionale JIT, ieri è stata la volta di fonti militari russe, che si appresterebbero a trasmettere agli esperti olandesi che conducono l'inchiesta, i dati dei radar “Utes-T” della regione di Rostov sul Don che, al momento in cui il Boeing fu colpito, avevano individuato due velivoli, uno civile e uno militare.

Sommando il tutto, non stupisce poi così tanto che i media ucraini scrivano sempre più spesso dei preparativi di fuga di Petro Porošenko.

 

Fabrizio Poggi

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