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Il capo del Pentagono in Asia come avvertimento a Pechino?

Il nuovo Segretario alla difesa USA, James “Mad Dog” Mattis, ha inaugurato l'elenco delle visite estere, arrivando ieri in Corea del Sud. Nel darne notizia, l'agenzia cinese Xinhua, sottolinea che il viaggio di Mattis, incontratosi col consigliere presidenziale per la sicurezza Kim Kwan-jin, fa seguito agli ultimi esperimenti missilistici nordcoreani. Alla riunione hanno partecipato anche il Ministro della difesa Han Min-koo, il presidente del Joint Chiefs of Staff (JCS) della Corea del Sud e il comandante del US Forces Korea, Vincent Brooks, oltre all'ambasciatore USA. L'ex generale dei marines ha reso ieri una “visita di cortesia” anche al primo ministro Hwang Kyo-Ahn, facente funzione di presidente dopo che, dallo scorso dicembre, la titolare Park Geun-hye è sotto accusa per corruzione. Stamani, prima della partenza per una visita di due giorni in Giappone, nel corso di un altro colloquio con Han Min-koo che ha dato luogo a nuove manifestazioni di protesta di fronte al Ministero della difesa, il capo del Pentagono ha ribadito la decisione sull'installazione dello scudo missilistico americano THAAD in Corea del Sud.

Come non considerare dunque più che lecite le dichiarazioni nordcoreane, ripetute anche oggi dalla KCNA, secondo cui “Sono stati gli USA a trasformare la Corea del Sud nell'arsenale nucleare più grande del mondo e ancora gli Stati Uniti a mettere in atto minacce nucleari contro la Corea del Nord, indicandola come bersaglio di un attacco nucleare preventivo”, così che “la Corea del Nord non ha avuto altra scelta se non quella della deterrenza nucleare per difendere la propria sovranità e il diritto all'esistenza”.

Il fatto che il capo del Pentagono abbia fatto tappa in Corea, prima che in Giappone, ha dichiarato a Xinhua l'analista dell'Institute for Policy Studies di Seoul, Go Myong-hyun, “indica quale sia l'obiettivo principale del suo primo viaggio estero: l'invio di un messaggio di avvertimento alla RDPC”. Un altro obiettivo, sarebbe quello di placare i timori di Seoul e Tokyo dopo le dichiarazioni di Donald Trump circa un possibile abbandono dei due alleati, a meno che questi non sborsino più soldi per mantenere gli oltre 80.000 militari yankee di stanza nei due paesi. Ma il tema centrale è certamente rappresentato dal prossimo dispiegamento del THAAD nel sudest della Corea del Sud, contro cui manifestano da mesi (per la sua dannosità sull'uomo e sull'ambiente) gli attivisti sudcoreani e su cui anche di recente sono tornate a pronunciarsi negativamente Pechino e Mosca.

Il sistema infatti, oltre che poter perlustrare i territori cinesi e russi, violando quindi l'equilibrio strategico, con il suo super radar a microonde è anche dannoso per gli esseri umani. In realtà, nota Xinhua, contrariamente alle affermazioni di Mattis, secondo cui il THAAD dovrebbe difendere le forze USA di stanza a Seoul, collocato come dovrebbe essere nel sudest della penisola, non è in grado di intercettare missili lanciati su Seoul e le aree metropolitane circostanti. Destinato a intercettare missili balistici nel punto più alto della fase finale di volo oltre l'atmosfera, a un'altitudine di 40-150 km, sarebbe forse in grado di colpire missili nordcoreani, che volano ad un'altitudine inferiore a 40 km, ma, secondo una colorita espressione del Ministero della difesa cinese, è come voler ammazzare le zanzare a colpi di fucile.

In realtà, da mesi Pechino denuncia che il vero obiettivo del THAAD non sarebbe Pyongyang, bensì la Cina. E, come risultato delle ripetute dichiarazioni di Donald Trump a proposito del confronto in estremo oriente, il South China Morning Post di Hong Kong scrive che la Cina sta scaldando i muscoli in vista di un possibile confronto con gli Stati Uniti, soprattutto nell'area del mar Cinese Meridionale. E lo sta facendo, attraverso l'ammodernamento dell'esercito e il potenziamento della flotta, tenuto conto del mutamento di strategia USA in Asia e nel Pacifico orientale e riaffermando i propri diritti sulle “isole artificiali” nel mar Cinese Meridionale, a dispetto delle dichiarazioni del nuovo Segretario di stato Rex Tillerson e del portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, secondo cui gli USA, nel mar Cinese Meridionale, “stanno difendendo i propri interessi”.

Secondo Ian Storey del ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore, citato dal South China Morning Post, tali dichiarazioni di esponenti chiave dell'amministrazione Trump esprimono le intenzioni del neo presidente USA di condurre una politica più dura nei confronti di Pechino. Prova ne sia cheTrump, per la prima volta dopo la rottura delle relazioni diplomatiche nel 1979, ha avuto un colloquio telefonico con il leader di Taiwan Tsai Ing-wen: chiaro segnale negativo nei confronti della linea di Pechino su “una sola Cina”.

In risposta, la portavoce del Ministero degli esteri cinese Hua Chunying, ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero "far attenzione alle proprie parole e azioni, per non danneggiare la pace e la stabilità nella regione".

Azioni, come il dislocamento, ancora nella Corea del Sud, di 12 caccia F-16, previsto per metà febbraio, necessari, secondo Washington, a potenziare “le capacità difensive della Repubblica di Corea di fronte alla crescente minaccia militaredella RDPC”. I caccia, insieme a 200 uomini di personale, dovrebbero essere trasferiti dal New Jersey alla base USAF di Osàn, nella provincia di Gyeonggi, poco distante da Seoul. La Tass ricorda come, durante lo scorso anno, fossero giunti a varie riprese in Corea del Sud bombardieri strategici B-52 e B-1B, ma negli ultimi tempi si sarebbero fatte più insistenti le voci di dislocamenti permanenti di armi strategiche USA nella penisola coreana.

Il passo corrispondente è stata la fornitura di Mosca alla Cina di quattro caccia Su-35 e la previsione di altri 10 entro la fine dell'anno, in base al contratto stipulato nel novembre 2015, per la fornitura di 24 apparecchi, della generazione “4++”, in grado di raggiungere, secondo rusvesna.su, una velocità di 2.500 km/h, un raggio di combattimento di 1.600 km e una portata fino a 3.400 km.

Con l'obiettivo di alleggerire la tensione, mercoledì scorso, l'ambasciatore cinese a Washington Cui Tiankai aveva ribadito che "dobbiamo rispondere alle difficoltà e alle sfide con la cooperazione e non con il conflitto. Dobbiamo lavorare insieme per una cooperazione win-win, invece di ribadire una mentalità da guerra fredda". Gli stessi concetti erano stati fissati poco meno di un mese fa nel Libro bianco della “Politica cinese sulla cooperazione per la sicurezza nella regione Asia-Pacifico”, per l'osservanza di “norme internazionali e regionali stabilite con la discussione tra tutti i paesi interessati, non dettata da un paese in particolare”, ma attraverso “una positiva interazione con Stati Uniti, Russia, India e sviluppando i legami con il Giappone". A proposito del mar Cinese Meridionale, era scritto che la Cina è impegnata a risolvere le controversie in modo pacifico, ma che potrebbe "adottare necessarie risposte" ad azioni provocatorie che violino la sua sovranità territoriale.

Il sorriso sulle labbra insomma, ma Trump stia ben attento a quello che dice e fa.

 

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