Si è aperta ieri all'ONU la conferenza sulla convenzione per la proibizione e la completa eliminazione delle armi nucleari. Non vi prendono parte, come da copione, i paesi detentori di armi atomiche. Ma non solo essi. La proposta di indire la conferenza era stata avanzata a fine 2016 da una cinquantina di paesi, a loro volta sostenuti da altri 123 stati. Si erano dette contrarie 38 nazioni, tra cui quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza – USA, Russia, Francia e Gran Bretagna – con l'astensione della Cina, dichiaratasi contraria solo in seguito. A Mosca, come ricorda RIA Novosti, già all'apparire della proposta, si era giudicata “non produttiva” la proposta di un'immediata proibizione dell'arma nucleare e il Ministro degli esteri Sergej Lavrov aveva tacciato di populista l'idea dello “zero atomico”, con cui si vorrebbe sostituire l'obiettivo della “stabilità strategica”.
Ma, se era data pressoché per scontata la reazione negativa delle potenze nucleari, non altrettanto attesa quella del primo paese vittima dell'arma atomica: Tokyo non parteciperà infatti alla conferenza. Ufficialmente, si giudica irrealistica l'idea di una totale proibizione delle armi atomiche, dato che, come ha dichiarato il Ministro degli esteri Fumio Kishida, nessuna delle cinque maggiori potenze nucleari vi prende parte e, soprattutto, il Giappone deve far fronte alla “crescente minaccia” atomica che viene dalla Corea del Nord. Al di là delle dichiarazioni di facciata, è il caso di ricordare come siano passate solamente tre settimane dalla visita di Rex Tillerson in Corea del Sud e Giappone, durante la quale Segretario di stato USA aveva più che ventilato l'idea di un prossimo ingresso di Seoul e Tokyo nel club delle potenze nucleari: s'intende, per prevenire “l'aggressività di Pyongyang”.
Ma, anche in mancanza di proprie armi nucleari, sarebbe comunque davvero un “non senso” dichiararsi per la loro totale proibizione, avendo basi americane direttamente sul proprio territorio – sull'isola di Okinawa – o nelle immediate vicinanze, sull'isola di Guam, da cui decollano in continuazione i bombardieri strategici B-1B “Lancer”, B-2 e B52 con armi nucleari a bordo, che partecipano regolarmente alle manovre congiunte USA-Giappone-Corea del Sud (le più recenti, le "Foal Eagle", a inizio marzo) sorvolando i territori di questi paesi, in prossimità della frontiera nordcoreana o ancora, avendo alle porte di casa le portaerei atomiche USA che incrociano nelle acque del Pacifico orientale.
Sono queste, del resto, le stesse motivazioni – la presunta “minaccia” che verrebbe dai test missilistici di Pyongyang o le “pretese” di Pechino nel mar Cinese Orientale – con cui il primo ministro Shinzo Abe, due anni fa, era riuscito a far approvare la controriforma costituzionale sull'impiego delle forze armate fuori dai confini nazionali o con cui la Ministra della difesa Tomomi Inada aveva recentemente visitato la base USA di Guam per “avere una conoscenza diretta” del sistema THAAD, là presente, in vista di una sua installazione anche in Giappone.
E comunque, se questo è il quadro nelle immediate vicinanze dei propri confini, naturale che nemmeno la Corea del Nord partecipi alla conferenza ONU, nonostante avesse votato a favore dell'iniziativa. “La questione è sapere se la conferenza possa produrre un risultato che davvero rifletta il desiderio” dell'eliminazione totale delle armi nucleari, ha dichiarato un anonimo portavoce del Ministero degli esteri nordcoreano, citato dall'agenzia cinese Xinhua. Si tratta di "un requisito vitale immediato" per la Corea del Nord, per una capacità di autodifesa che faccia perno sulla forza nucleare, di fronte alle ripetute esercitazioni militari congiunte degli USA con la Corea del Sud e all'introduzione di armi strategiche sulla penisola coreana, nell'ambito, come scrive la nordcoreana Rodong Sinmun, delle manovre USA per dar vita a una versione asiatica della Nato, con Corea del Sud e Giappone. Nonostante ciò, ha detto ancora il portavoce di Pyongyang, la RDPC continuerà a sostenere l'idea del movimento dei non allineati per lo smantellamento totale delle armi nucleari.
Ma, tornando a Tokyo, la giapponese The Asahi Shimbun scrive che l'Università di Nagasaki ha in programma di avviare un corso di studi nucleari a partire dal 2018. “E' il primo paese che ha deciso di offrire agli studenti l'opportunità di studiare il disarmo nucleare e la non proliferazione”, ha annunciato ieri un portavoce dell'Università, aggiungendo che lo studio su disarmo e non proliferazione nucleare combinerà le scienze umane e sociali con quelle tecnologiche e verrà condotto da esperti del Research Center for Nuclear Weapons Abolition. Vista la posizione di Tokyo sulla Conferenza ONU, è come dare la tessera della Lipu a un socio di Arci-Caccia.
La Conferenza sulla proibizione delle armi nucleari prevede due tappe: la prima, iniziata ieri, si concluderà venerdì prossimo; la seconda dovrebbe tenersi dal 15 giugno al 7 luglio. Come scriveva ieri la Tass, già nell'ottobre scorso, il Direttore del dipartimento per la non proliferazione nucleare del Ministero degli esteri russo, Mikhail Uljanov, aveva dichiarato che l'indizione della Conferenza era “un non senso, dal momento che i paesi non nucleari proibiranno ciò che non possiedono”. Un mese fa, il vice Ministro degli esteri Sergej Rjabkov aveva detto che Mosca parte “dal presupposto che le armi nucleari rappresentino un fattore di stabilità, che assicura la sicurezza internazionale e nostra, salvaguardando il mondo dai più terribili conflitti”.
La Tass ricorda però come, insieme alla posizione negativa anche degli USA nei confronti della Conferenza, in suo favore si siano espressi circoli accademici e numerose organizzazioni non governative. Oltre duemila studiosi, tra cui anche numerosi membri dell'Accademia delle Scienze russa, hanno hanno sottoscritto una lettera aperta in cui invitano i partecipanti al forum a liquidare la minaccia che proviene dalle oltre 14.000 testate nucleari presenti nel mondo, in dotazione per lo più a Russia e Stati Uniti, ma anche a Gran Bretagna, India, Cina, RDPC, Francia, Pakistan e, con ogni probabilità, Israele. Testate che sono presenti anche sul territorio di paesi, come è il caso dell'Italia che, pur non possedendo l'arma atomica, sono però soggetti a possibili colpi di risposta per il fatto stesso del loro dislocamento all'interno delle basi americane.
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