In questi ultimi giorni sono sempre più insistenti le voci da parte dei media locali riguardo l’ingresso di truppe giordane nelle province siriane del sud. Lo stesso presidente Bashar Al Assad ha dichiarato, in una recente intervista all’agenzia stampa russa Sputnik, di essere a conoscenza di “un piano di aggressione giordano sotto l’egida di americani, britannici e israeliani”.
L’obiettivo, secondo i media giordani, sarebbe quello di combattere i gruppi jihadisti, Daesh e Tahrir Al Sham (ex Al Nusra), lungo il confine con la Giordania. Il portale Al Monitor riferisce, infatti, che la volontà di re Abdallah sia quella di intervenire lungo il confine siriano ed iracheno per evitare che “il proprio paese venga minacciato dalla presenza di un nuovo califfato di Daesh a ridosso del confine”.
La prossima caduta di Mosul e quella possibile di Raqqa, infatti, stanno facendo confluire in tutta l’area meridionale della Siria ( Al Mayadin, Deir Ez Zor e Al Tanf) numerosi miliziani. Il re giordano, secondo il quotidiano locale Al Dustour, teme che il proprio regno possa “cadere nel pantano del terrorismo come la Siria e l’Iraq” dopo aver subito un unico attentato terroristico di matrice jihadista in questi sei anni (Karak nel dicembre 2016), vista anche la presenza di circa 3mila giordani nelle fila di Daesh.
La scomparsa di tutti i gruppi ribelli dell’ESL (Esercito Siriano Liberazione) e la recente ascesa del gruppo Khalid Ibn Al Walid, fedele a Daesh, mette a rischio la sicurezza di tutto il paese. Un pericolo concreto che ha spinto il re hashemita ad avere un atteggiamento ambiguo. Da una parte si è ammorbidito nei confronti di Bashar Al Assad, considerato ad oggi il male minore per i rischi che corre il regno. Dall’altra ha cercato il supporto degli alleati americani e britannici: una richiesta che è diventata ufficiale dopo il suo incontro con Trump, il 5 di Aprile, a Washington.
Il quotidiano israeliano online I24, infatti, ha confermato che “nelle ultime settimane sono numerose le operazioni militari, condotte dai reparti giordani insieme a forze speciali americane e inglesi, lungo il confine siriano”. Fonti ufficiali di Amman riferiscono che queste operazioni sono legate alle prossime “manovre militari di difesa”, previste tra due settimane, che coinvolgeranno forze militari di 23 paesi con la supervisione americana ed israeliana. Operazioni militari previste per contrastare, almeno ufficialmente, l’espansione dello Stato Islamico e non per ostacolare le lente, ma costanti, vittorie da parte dell’asse rappresentato da siriani, iraniani, Hezbollah e russi.
Secondo Damasco, invece, l’intervento giordano avrebbe l’obiettivo di voler creare uno “stato cuscinetto” lungo tutto il confine siriano, non tanto per contrastare Daesh, ma piuttosto per indebolire Bashar Al Assad e l’integrità territoriale siriana, già fortemente compromessa. Le perplessità su un simile intervento emergono dalla stessa stampa giordana. L’analista politico Oraib Al Rantawi esprime, in un editoriale sul quotidiano hashemita Al Dustour, i propri dubbi su un possibile intervento nell’area e sul rischio di poter entrare in conflitto direttamente con l’esercito lealista siriano, con Hezbollah e con le forze russe. Polemiche che hanno portato il ministro dell’informazione giordano, Mohammad Momani, a smentire ufficialmente le accuse da parte siriana ed a dichiarare che “Amman non ha cambiato posizione nei confronti della Siria per quanto riguarda la sua integrità territoriale e la lotta contro il terrorismo”.
Secondo Assad, al contrario, il progetto “giordano-americano mira a consolidare anche le posizioni difensive israeliane” ed a tutelare il governo di Tel Aviv dalla minaccia legata alla presenza di Hezbollah nella zona di confine delle alture del Golan. Dall’inizio della guerra, in effetti, il governo Netanyahu ha sempre appoggiato e sostenuto tutte le milizie jihadiste della zona, dalle cure negli ospedali al supporto logistico, proprio per avere una zona “cuscinetto” dal rischio di Hezbollah e dei Pasdaran iraniani. Le stesse milizie di Daesh in tutti questi anni non hanno mai attaccato obiettivi israeliani e l’unica volta che ciò è avvenuto, secondo le parole del generale Moshe Yaalon, è stato per errore e prontamente le forze jihadiste si sono “scusate con Tel Aviv”. (Fonte Al Manar)
Al Mayadeen, emittente televisiva libanese, riferisce, inoltre, di due attacchi, la scorsa settimana, effettuati dall’aviazione di Tel Aviv nelle aree del sud contro basi siriane ed in appoggio alle milizie jihadiste. L’ennesima provocazione da parte israeliana è il bombardamento di ieri, probabilmente da postazioni missilistiche di Tsahal (esercito israeliano) nel Golan, che ha provocato una forte esplosione all’aeroporto di Damasco su un deposito di armi, attribuito ad Hezbollah. Il ministro dell’Intelligence del governo Netanyahu, Israel Katz, non ha confermato una responsabilità diretta, ma ha affermato che “l’episodio in Siria coincide perfettamente con la politica israeliana che cerca di impedire il trasferimento di armi sofisticate ad Hezbollah”.
Nonostante le accuse siriane o le dichiarazioni giordane, in queste ultime settimane il fronte meridionale è sicuramente quello più caldo. Numerosi reparti militari siriani, iraniani e di Hezbollah starebbero convergendo in tutta l’area proprio per contrastare la presenza jihadista o un’eventuale invasione giordana.
Si registrano, infatti, diversi scontri con i miliziani jihadisti in tutte le regioni meridionali della Siria. Le aree contese sono principalmente due. La prima è quella che va da Qalamun a Quneitra, lungo il confine con il Libano, considerata di cruciale importanza da Hezbollah per isolare il paese dei cedri dal rischio di infiltrazioni jihadiste. La seconda è tutta la provincia di Deraa, controllata in parte dal gruppo Khalid Ibn Al Walid (oltre 1500 combattenti armati di artiglieria pesante e tank T-55).
Un considerevole aumento di miliziani coincide, in effetti, con le recenti sconfitte di Daesh e Al Nusra dalle zone limitrofe a Damasco (Zabadani, Houch Arani, Madaya e Baqin) e ad un loro arretramento verso i confini meridionali.
“Una possibile invasione di forze straniere”- secondo Abdel Bari Atwan (direttore del Rai Al Youm)- “sarebbe l’ennesimo tentativo di indebolire il governo di Assad” e sarebbe “un’ulteriore intromissione da parte di un altro paese nei confronti della sovranità territoriale siriana”. Attacchi aerei, come quello turco nel Rojava, o bombardamenti, come quelli di Tel Aviv su Damasco o nel sud della Siria, conclude Atwan “hanno lo scopo di favorire esclusivamente Daesh e Al Nusra nella regione”.
Stefano Mauro
articolo pubblicato anche su nena-news.it
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