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Cile. La discussione sulla nuova legge d’aborto “in tre causali”

La vita politica in Cile è in grande fermento: a poco più di un mese dalle elezioni che eleggeranno il nuovo presidente e il Parlamento, il governo della coalizione Nueva Mayoría (i cui tre partiti principali sono quelli Socialista, Comunista e Cristiano Democratico) sta portando a termine il suo programma di riforme. Le privatizzazioni stanno colpendo l’intera società, dall’Università al sistema pensionistico, provocando forti proteste della popolazione, ma una misura che sta venendo accolta con sentimenti contrastanti è la nuova legge che legalizza l’aborto “in tre causali”, ovvero per il rischio di salute della madre, per malformazione del feto o in caso di stupro.

Votata il 2 agosto dal Parlamento e approvata il 21 dello stesso mese dalla Corte Costituzionale, la legge fortemente voluta dalla presidentessa Bachelet è stata presentata come un grande passo per i diritti delle donne, riportando la normativa a una posizione simile a quella che era esistita dal 1931 al 1989, quando la dittatura militare ormai al capolinea in uno dei suoi ultimi atti aveva dichiarato l’aborto illegale. Dopo quasi 30 anni di lotte femministe, minimamente ascoltate dalla politica anche a causa dell’influenza della Chiesa Cattolica, il Cile adotta una normativa molto simile agli altri paesi dell’America Latina, dove nella maggior parte dei paesi l’aborto è legale soltanto per ragioni di salute, ad eccezione del Messico e di Cuba dove è totalmente depenalizzato.

Nonostante la legge sia stata generalmente ben accolta, dopo tanto attesa, il limite delle tre causali ha suscitato molti dubbi e critiche nella sinistra radicale e nel movimento femminista. Proprio per discutere di queste posizioni abbiamo incontrato Constanza Caracci, una giovane militante di Izquierda Libertaria, durante una sessione fotografica del Frente Amplio, un’organizzazione-ombrello nata un anno fa per riunire politicamente (ed elettoralmente alle prossime elezioni) diversi collettivi nati o rafforzatisi dalla spinta delle proteste studentesche del 2011 e che vogliono proporsi come un’alternativa alla sinistra della Nueva Mayoría.

Nel 1989 si penalizza l’aborto in tutte le circostanze, e da lì in avanti è esistita pochissima discussione sui diritti sessuali e riproduttivi. Circa 10 anni fa iniziò il dibattito sulla pillola del giorno dopo, che la Corte Costituzionale inizialmente dichiarò incostituzionale, provocando una grande mobilitazione, e così si è iniziato a riaprire un po’ il dibattito sull’aborto”.

La legge sull’aborto è stata approvata fondamentalmente senza grandi modifiche rispetto al progetto originale, presentato nel 2014 e che già dal suo inizio prevedeva le tre causali, ma certo non senza polemiche: “Fino a una settimana fa il dibattito era molto duro, da una parte le argomentazioni usate erano di stampo medievale e profondamente maciste: i conservatori contestavano la causale dello stupro, mettendo preventivamente in discussione la veridicità delle future denunce per violenza”.

Per molti aspetti però l’approvazione della legge non ha fermato la discussione: se la sentenza della Corte Costituzionale ha sancito la validità della legge durante una giornata in cui due manifestazioni di segno opposto si sfidavano da una parte all’altra del Tribunale, ora si aspetta una sentenza sull’obiezione di coscienza, in particolare se questa debba essere individuale o “istituzionale”, cioè se un intero ospedale possa decidere di praticare o meno gli aborti. All’interno della comunità medica si vive la stessa frattura: l’Ospedale dell’Università Cattolica ha già dichiarato il suo rifiuto a eseguire qualunque aborto, e mentre alcuni medici hanno inscenato una protesta abbandonando i camici di fronte al palazzo de La Moneda, altri invece si stanno schierando apertamente a favore delle nuove misure.

D’altra parte, il fatto che il dibattito rimanga aperto, soprattutto per futuri ampliamenti della legge, è uno degli obiettivi dei movimenti femministi: “Il sentimento diffuso è certamente quello di una vittoria storica, ma siamo tutti preoccupati dal rischio che invece di essere un passo verso la legalizzazione completa, questa legge interrompa ogni altro avanzamento. E il governo non sta dando nessun segnale in questa direzione.”

Il movimento fortunatamente non si è fermato: il 25 di luglio si è tenuta una grande manifestazione come ogni anno indetta dal Coordinamento Femminista in Lotta, con lo slogan anche molto critici verso la nuova legge come “una sola causale: la propria decisione”, ma anche “aborto libero, sicuro e gratuito ora” per evidenziare le disparità sociali tra donne che possono permettersi di andare ad abortire all’estero e quelle che non possono, problema che la nuova legislazione intacca solo in parte.

Dobbiamo ricordare l’importanza delle donne e delle femministe che hanno dedicato le loro vite per avanzare nei diritti delle donne, ed essere coscienti che per il futuro il movimento coprirà ancora un ruolo chiave per continuare a fare pressione sulla politica. Nonostante i limiti di questa legge uno degli aspetti più importanti è che si è tornato a parlare dei diritti sessuali e riproduttivi, questo significa anche riuscire a fare veramente educazione sessuale nelle scuole: i programmi oggi esistono ma non vengono portati avanti, sto facendo il mio praticantato da insegnante in un liceo pubblico e vedo direttamente questa difficoltà. Tutto questo è molto importante perché l’obiettivo è quello di affermare la donna come un soggetto che ha l’autonomia di controllare la propria vita”.

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