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Francia. Il Consiglio di Stato azzoppa il “jobs act” di Macron

Contestare le modalità d’organizzazione dei referendum aziendali non sarà limitato ai soli rappresentanti del personale: anche i sindacati non firmatari possono fare causa.

La sentenza del Consiglio di Stato francese non annulla l’intero decreto sul diritto del lavoro, ma certo limita il suo campo d’applicazione in uno dei punti più sensibili.

Giovedì 7 dicembre, il Consiglio di Stato ha annullato una modalità della legge di El Khomri che limitava solo i rappresentanti del personale l’opportunità di contestare in tribunale l’organizzazione di un referendum all’interno dell’azienda, riscontrando una ingiustificata “differenza di trattamento”.

La legge approvata ad agosto 2016, dopo un lungo conflitto sociale, consente di organizzare una consultazione con i dipendenti per convalidare un accordo aziendale firmato da sindacati che rappresentano anche soltanto una parte dei lavoratori, raccogliendo percentuali comprese tra il 30% e il 50%. Un modo di aggirare la volontà della maggioranza, affidando a sindacati “complici” il monopolio della rappresentanza (un po’ quello che si cerca di fare in Italia, senza mai dirlo apertamente).

Riservando la possibilità di ricorrere soltanto ad alcuni soggetti, la legge “ha stabilito una differenza di trattamento che non poggia su una differenza di situazione o su un motivo di interesse generale direttamente correlato all’oggetto delle disposizioni del decreto”, ha ha deciso il Consiglio di Stato.

Il relatore pubblico ha anche sottolineato, all’udienza di lunedì, che in questo decreto c’è una “inosservanza del principio di uguaglianza” che “limita l’accesso al giudice” solo ai rappresentanti del personale.

I sindacati di FO e CGT (Goodyear Amiens, Energie-Paris, CHRU Lille …) si erano indignati per il fatto che questi accordi – cosiddetti “offensivi” – fossero imposti ai dipendenti, portando a una modifica del contratto di lavoro valida solo per coloro che lo accettano, mentre prevedeva il licenziamento per coloro che lo rifiutano.

Poiché l’accordo si basa su una “diagnosi condivisa” da parte del datore di lavoro e dei sindacati firmatari su “gli sforzi richiesti ai dipendenti per migliorare il funzionamento della società”, il licenziamento può “essere considerato basato sulle necessità” di far funzionare questo accordo, scrive il Consiglio di Stato.

Il Consiglio costituzionale, interrogato dalla FO, aveva già censurato in ottobre le modalità di organizzazione dei referendum aziendali, fissati congiuntamente dal datore di lavoro e dai sindacati firmatari del progetto di accordo, considerando che escludere i sindacati non firmatari costituiva una “differenza di trattamento”.

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