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Baltici e Ucraina: neonazismo non solo di facciata

Visti i precedenti, sia strettamente nazionali, che dei paesi vicini, sembrerebbe che le ultime notizie che giungono dalla Lettonia non siano, in fondo, delle assolute novità. In effetti, nessun fatto propriamente nuovo; ma, trattandosi di un paese di quella Unione Europea che intende dettare lezioni di democrazia in giro per il mondo e che si sbraccia ostentatamente in difesa dei “diritti umani”, dei diritti umani degli altri, è il caso di non passare proprio sotto silenzio il progetto di legge approvato ieri in ultima lettura dal Sejm lettone, sull’attribuzione paritaria dello status di partecipante alla Seconda guerra mondiale, a ogni veterano, sia che abbia combattuto nelle file dell’Armata Rossa, oppure nei battaglioni inquadrati nei ranghi di Wehrmacht o SS. I quali ultimi, come noto, nei Paesi baltici, contavano numerosi cittadini di Lituania, Lettonia ed Estonia.

Non pare il caso di passare proprio sotto silenzio tale fatto, tanto più che proprio in Lettonia è schierato il battaglione NATO, a guida canadese, in cui è inquadrato anche il contingente italiano – si suppone, in rappresentanza di quella Repubblica nata dalla Resistenza – nell’ambito del piano dell’Alleanza atlantica sui quattro battaglioni messi “a difesa della democrazia” di Polonia, Estonia, Lituania e Lettonia contro “la minaccia russa”.

Una democrazia europeista così tanto minacciata nei suoi valori, che il governo conservatore si è visto costretto più di una volta a multare il sindaco della capitale Riga, Nils Ušakov, “colpevole” di rivolgersi ai propri elettori di origine russa, nientepopodimeno che in lingua russa. Una democrazia europeista così tanto minacciata, da vedersi costretta, a scanso di sorprese, a escludere dal voto e da altri diritti civili alcune centinaia di migliaia di persone di origine russa, considerate “non cittadini”. Una democrazia che celebra i propri valori europeisti con la partecipazione delle massime autorità parlamentari e di governo alla marcia annuale dei veterani delle Waffen SS: coloro cioè che, a differenza dei tanti cittadini baltici inquadrati a forza nella Wehrmacht, si offrirono volontari nelle divisioni SS locali, utilizzati dai nazisti in qualità di Polizei e colpevoli di stragi di propri stessi concittadini.

E fa il paio con la nuova legge lettone, la richiesta ultimativa, avanzata dal Consiglio per la memoria nazionale ucraina al governo golpista, affinché, nell’ambito della “decomunistizzazione”, venga alla fine abbattuto a Odessa il monumento a Caterina II attorniata dai suoi favoriti, José de Ribas, François Sainte de WollantGrigorij Potëmkin e Platon Zubov, considerati i fondatori della città e del suo porto e alla piazza in cui troneggia oggi la statua – la storia delle varie peripezie del complesso artistico meriterebbe una cronaca a parte – venga ridato il nome affibbiatole nell’autunno del 1941: piazza Adolf Hitler.

Tra l’altro, tale ridenominazione, avrebbe forse il “merito” di ricordare a qualche distratto italico esponente parlamentare che proprio a Odessa, alla Casa dei sindacati, il 2 maggio 2014, compirono le proprie “gesta”, i tagliagole del segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, quel Andrij Parubij, attuale speaker della Rada, con cui a Roma qualcuno è solito sottoscrivere patti di collaborazione.

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