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Giochi di potere in Ucraina e commemorazioni naziste in Lettonia

Dopo l'elezione di Donald Trump, sembra che nessuno possa sottrarsi alla necessità di legare la vittoria del candidato repubblicano a questa o quella questione, apparentemente circoscritta a un determinato scacchiere o scenario geopolitico. L'attributo con cui ovunque viene qualificato il neo presidente USA, quello della imprevedibilità, gioca ovviamente a favore di quella necessità. In giro per il mondo ci si chiede quale strada prenderà Trump rispetto alle scelte fin qui adottate dalla Casa Bianca. L'Ucraina golpista non fa eccezione.

Se già il giorno stesso del risultato USA, qualche politologo ucraino aveva osservato come Trump si appresti a lasciare la patata bollente ucraina all'Europa, ecco che l'Alto Rappresentante per la Politica estera della Ue, Federica Mogherini, conferma che la politica UE nei confronti dell'Ucraina non cambia, nemmeno dopo la vittoria di Trump. In un'intervista a Deutsche Welle, Mogherini ha sottolineato come ciò vada inteso sia in rapporto al Donbass, che alla Crimea. Secondo le sue parole, la “collaborazione fruttuosa e costruttiva tra UE e USA, non significa che Washington detti le proprie condizioni”. Ma a Kiev sembrano dare poco peso a tali dichiarazioni, ben consci di come il sostegno determinante alla junta sia sinora venuto proprio da Washington, e come, soprattutto negli ultimi mesi, Berlino e Parigi abbiano preso a non respingere del tutto le proposte di Mosca. Così che, a fronte di malcelati timori degli attuali “uomini forti”, compaiono le speranze dei loro concorrenti, vale a dire delle persone professatesi fino a una settimana fa colonne portanti del regime. Dunque, Trump ha detto di odiare la questione ucraina e di non comprendere i motivi (glieli si dovrebbero spiegare; ma non è questa la sede) per cui nessuno, tranne gli Stati Uniti, difenda tanto gli interessi ucraini.

Ecco che l'ex presidente georgiano e più fervente yankee postsovietico, nonché, nell'ultimo anno e mezzo, governatore ucraino di Odessa, (sino alla vigilia elettorale USA!) Mikhail Saakašvili, ha già pensato bene di piazzare un'ipoteca sulla poltrona presidenziale di Kiev, dicendosi convinto che, nonostante le dimissioni da governatore, Porošenko non lo consegnerà alla polizia georgiana, di fronte alla quale deve tuttora rispondere delle accuse – di quando era presidente dal 2004 al 2007 e dal 2008 al 2013 – di appropriazione di alcuni milioni di $ e falsificazione di prove per la misteriosa morte dell’ex primo ministro Zurab Zhvania. In generale, secondo le Izvestija, la situazione ucraina sembrerebbe avviarsi verso elezioni presidenziali anticipate, dopo che, anche senza attendere Trump, l'amministrazione Obama sembra aver tolto la fiducia a Porošenko, Avakov & co.

Anche per questo, forse, prendono sempre più piede a Varsavia le isterie antiucraine: o meglio, i richiami nazionalistici polacchi contro il neonazismo ucraino, già ampiamente sviluppatisi l'estate scorsa. Venerdì scorso, nella ricorrenza della proclamazione dell'indipendenza (Narodowe Święto Niepodległości) polacca dagli imperi tedesco, austro-ungarico e zarista, nel 1918, una fiaccolata ha percorso le strade di Varsavia; nel corso della marcia, cui hanno partecipato, secondo la polacca gazeta.pl, dalle 70mila alle 100mila persone, gruppi di nazionalisti hanno bruciato e calpestato la bandiera ucraina, lanciando ingiurie all'indirizzo dell'ex esercito filonazista ucraino dell'UPA e del suo capo di allora e attuale eroe nazionale ucraino Stepan Bandera.

E, a proposito di marce, seppur di orientamento opposto rispetto alle “glorie” naziste, si è svolta nei giorni scorsi in Lettonia, al memoriale di Lestenes Brāļu kapi, (inaugurato in pompa magna nel 2000; si trova a una settantina di km a sudovest di Riga) in cui sono sotterrati i legionari SS lettoni che qui, nel 1944, furono liquidati nella cosiddetta sacca di Curlandia, in cui rimase intrappolato il Gruppo di armate “Nord”, due terzi del quale era costituito, appunto, da legionari lettoni della Wehrmacht. Per la “democratica” Lettonia non è certo questa una novità, ma si inserisce in tutta una serie di iniziative ufficiali tese a celebrare il passato filonazista, mentre si adottano provvedimenti sempre più segregazionisti e di marca xenofoba, soprattutto nei confronti delle centinaia di migliaia di persone di lingua russa considerate “non cittadini” e private dei più elementari diritti.

Nella Lettonia “europeista”, dopo che si era cominciato a realizzare una speciale zona di controllo (92 km di recinzione di circa 3 metri di altezza; al momento, appena km realizzati) al confine con la Russia, che dovrebbe filtrare i “richiedenti asilo” che cercano di raggiungere la Polonia attraverso la Russia, ora si comincia a studiare un progetto per fare altrettanto al confine con la Bielorussia, innalzando uno sbarramento per proteggere la “purezza ariana” locale dai migranti del Medio Oriente.

Non molto ottimismo viene nemmeno dall'ultima trovata della municipalità di Piter che, dopo alcuni tentativi non andati a buon fine per la pronta reazione di quanti considerano tutt'oggi l'ex Leningrado “culla della Rivoluzione d'Ottobre”, ieri pomeriggio ha installato una targa commemorativa dell'ammiraglio Aleksandr Kolčak. La targa è stata apposta al balcone dell'edificio in cui l'ammiraglio visse dal 1905 al 1912, prima ancora cioè di divenire uno dei maggiori comandanti bianchi all’epoca della guerra civile scatenata contro il giovane governo bolscevico (dal novembre 1918 al gennaio 1920 fu governatore supremo della Russia, accusato e riconosciuto colpevole, per sua stessa ammissione, di fucilazioni in massa, terrore, dittatura militare, tradimento della patria al servizio di Francia, Inghilterra e Giappone e fucilato a Irkutsk nel 1920), quando era considerato un esploratore di fama mondiale.

La procedura burocratica per l'installazione della targa era cominciata nel 2015, ma più volte interrotta per la larga opposizione manifestata sui social network. Una petizione diceva che la prevista installazione della targa rappresenta "un gesto politico volto a giustificare i massacri durante il Terrore Bianco e i metodi dittatoriali di governo". La targa commemorativa del periodo (dal 1887 al 1918) in cui il generale finlandese Karl Gustav Mannerheim servì nell’esercito zarista, mesi fa installata sempre a Piter, è stata più volte imbrattata di vernice rossa, finché le autorità cittadine non l'hanno tolta. E' prevedibile che quella in onore di Kolčak subirà la stessa, meritata sorte, a dispetto dei gesti ufficiali miranti “a superare la divisione della società russa determinata dalla Rivoluzione d’Ottobre”.

 

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