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La elezioni europee nel dibattito politico francese

Le elezioni europee, e le relative ipotesi politiche continentali, stanno accendendo il dibattito politico francese. Le discussioni che si svolgono oltralpe hanno precise conseguenze anche in Italia, e in generale riflettono la collocazione rispetto al processo di avanzamento/arretramento del processo di integrazione europeo, nel campo dei suoi sostenitori così come dei suo critici moderati o radicali.

Di questo dibattito, tre elementi devono essere messi in evidenza per avere un quadro che permetta di ragionare con cognizione di causa sul futuro delle configurazioni politiche che si stanno articolando: l’iniziativa di Emmanuel Macron leader di En Marche, le alleanze “a geografia variabile” dell’arco delle forze che componevano l’asse “rosso-rosa-verde” in Francia, e la France Insoumise, di cui abbiamo scritto a più riprese.

Un primo dato, è il fallimento momentaneo di Macron nel poter sperare di ripetere l’effetto “big bang” sul piano elettorale europeo, come invece gli è riuscito in Francia nel 2017.

Il Leader di LREN si è posto come polarità e in un certo senso come “modello” per cambiare le geografie politiche consolidate anche a livello europeo, cercando di mutuare dai successi di En Marche una matrice che unisse su un preciso progetto politico forze europee del centro-destra e del centro sinistra.

Insieme alla “Podemos di destra” – ciudadans, la cui creazione era stata auspicata esattamente in questi termini dalla borghesia catalana – la formazione francese era una delle novità in ascesa del panorama politico continentale, con la meteora dell’UKIP di Nigel Farage, polverizzatasi alle elezioni politiche successive alla Brexit, dopo essere stata una delle principali promotrici del referendum.

Sullo sfondo di una crisi sempre più profonda della socialdemocrazia europea, del crescente ferreo controllo di Berlino sul Partito Popolare Europeo – braccio politico della volontà tedesca di declinare la politica dell’Unione secondo i propri dettami – e del consolidamento del consenso di forze sovraniste “di destra” nell’Europa centro-orientale (pressate da forze neo-fasciste tout-court che di fatto dettano loro l’agenda politica), la “rivoluzione macroniana”, per ora, non si è andata affermando oltre al perimetro dell’Esagono.

È chiaro che la capacità plastica di parti delle élites europee di dare forma a un progetto politico capace di fornire una narrazione efficace e una forma adeguata ad una filosofia di governance europea più incline alle esigenze del blocco sociale francese di cui Macron è espressione, per ri-bilanciare gli orientamenti di Berlino, deve essere tenuta in costante monitoraggio.

La sua abilità di ri-comporre “su un piano più alto” la rappresentanza di un parte del blocco sociale dominante europeo non convergente con i piani della potenza tedesca dev’essere tenuta in considerazione.

La sempre maggiore polarizzazione sociale, la spaccatura politica del Paese tra Est e Ovest, l’ennesimo suicidio politico della SPD che – in drastico calo di consensi – ha dovuto riaccettare l’ipotesi politica della Grosse Koalition, e non da ultimo l’annuncio della creazione di un nuovo movimento politico, ispirato alla France Insoumise, da parte di Sara Wagenknecht per il prossimo settembre, sono elementi che “vivacizzano” la situazione del più importante sistema-paese dell’UE, tenendo conto di come la “fragile” maggioranza governativa sia sempre più ostaggio delle correnti di destra del suo schieramento.

Il ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, leader dei conservatori bavaresi della CSU, alleati alla CDU di Angela Merckel, è l’emblema di questo “bilanciamento a destra” e del tentativo di costituire un asse tra Germania, Austria e Italia sulla questione dell’immigrazione.

L’entrata trionfale nel Bundestag dell’AfD (altra novità sul piano continentale) e il suo essere accreditato tra il 12 e il 15% tra i possibili consensi elettorali, hanno messo in allarme la CUS-CDU che proprio sulla questione dell’immigrazione hanno visto rosicato il loro appeal.

Da qui un possibile “output a destra” della coalizione di maggioranza sul tema dell’immigrazione, e per altri motivi un auspicato ulteriore irrigidimento del pilota automatico per la governance dell’Europa germanica voluta dai liberali teutonici.

Una prima battuta d’arresto del progetto macroniano, è stata la netta bocciatura (368 euro-deputati contro 274), il 7 febbraio scorso, della costituzione di liste trans-nazionali in vista delle elezioni europee del maggio prossimo.

L’ambizione era limitata ai seggi lasciati vuoti dopo la Brexit, 73 su un totale odierno dei 751 attuali, ed aveva visto Macron impegnarsi direttamente nel progetto a partire dal suo celebre discorso del settembre scorso alla Sorbona.

Nella sua orazione, in cui tracciava un quadro ben più ampio delle sue aspirazioni, aveva dichiarato esplicitamente:

Questi 73 deputati devono essere la risposta europea alla Brexit. E questa sarà una lista trans-nazionale, dove si vota per gli stessi parlamentari europei in tutta Europa.

Il rinnovato asse franco-tedesco auspicato dal leader di En Marche, ha dimostrato successivamente a più riprese di non potersi costituire sulle posizioni propugnate da Macron ed anzi ha dimostrato orientamenti profondamente differenti rispetto a questioni nodali dell’avanzamento del processo di integrazione che non fossero quelle più classicamente liberiste rispetto alla questione sociale, vero determinatore comune trasversale delle politiche della UE.

Allo stesso tempo, come evidenziato da un articolo di Ludovic Lamat, su “Mediapart” del febbraio scorso, questo primo empasse di Macron, per molti osservatori, “testimonia della debolezza di relazioni del Francese a Bruxelles”.

Ma se gli scenari che si aprono sono molteplici, come afferma il giornalista all’interno dello stesso articolo “Européennes: les dèbut des grandes manoevres”:il sogno di Emmanuel Macron di rimodellare la politica europea attorno a sé, per le elezioni europee, sul modello di ciò che ha saputo fare in Francia nel 2107, sarà molto difficile da concretizzare”.

Questi due aspetti, la mancata realizzazione dell’asse franco-tedesco e la battuta d’arresto macroniana dimostrano due cose.

Primo: l’inasprirsi dello scontro su orientamenti politici diversi rispetto alull’avanzamento del processo di integrazione europeo alla vigilia di scelte strategiche per i destini dell’Unione – in un momento in cui i motivi di criticità si stanno accumulando, dalla politica economica interna a quella estera, per non parlare dell’immigrazione – non sembra nell’immediato essersi attenuato né poter portare ad una sintesi tra i vari Paesi della UE, ma all’affermarsi invece di diverse “polarità” nel quadro continentale.

Secondo: l’accelerazione dei processi storici sul piano politico porta alla rapida polverizzazione di ogni “nuova” ipotesi di rappresentanza che debba confrontarsi con il magma incandescente delle contraddizioni create dalle stesse élites ordo-liberiste europee e la sua celere obsolescenza rispetto al consenso anche elettorale, dinamica in cui può in parte inscriversi il crash del M5S alle recenti elezioni amministrative.

Sul fronte della possibile “remake” dell’alleanza “rosso-rosa-verde” alle future elezioni europee, sotto l’egida del progetto dell’ex ministro dell’economia Yanis Varoufakis, ci sono da segnalare alcune importanti novità sul teatro delle operazioni a ciò che di fatto si pone come altra polarità rispetto a quella scaturita dall’intesa del 12 aprile firmata a Lisbona da FI, Podemos e Bloco de Esquerda a cui ha aderito anche Potere al Popolo in Italia.

La prima, di cui abbiamo già parlato all’interno dell’articolo: Francia: verso il “Fronte Popolare” e l’Europa dei non sottomessi è la spaccatura interna al PCF in tre ali e il ri-avvicinamento tra la formazione comunista francese e il leader socialista Benoit Hamon di Génération.s.

Varoufakis e Hamon hanno lanciato a Parigi l’8 giugno scorso l’idea delle primarie europee per una “sinistra europea alternativa”.

Il leader socialista ha spiegato che propongono “di organizzare una consultazione pan-europea sui contenuti, il progetto, il dispositivo politico e umano che avremo […] Lasciamo che i cittadini di sinistra decidere quale sarà il progetto migliore”. 

Riferendosi chiaramente al protagonismo “europeo” del leader di France Insoumise ha proseguito dichiarando: “Noi non abbiamo a priori nessuna esclusiva, anche se constatiamo che alcuni, con una certa costanza, rifiutano la possibilità di un tale raggruppamento in Europa”.

L’ipotesi che fa capo a questo progetto politico ha compreso fin qui, per l’Italia, Diem 25 e in qualche misura DEMA di Luigi De Magistris; ed è proprio quest’ultima, insieme a quella francese, l’unica esperienza che può vantare un minimo di consenso a livello continentale, trattandosi per le altre formazioni che hanno aderito all’appello di piccoli raggruppamenti numericamente inconsistenti e decisamente ininfluenti nei vari contesti politici nazionali: “sono dei movimenti giovani” ha ammesso lo stesso Hamon.

Inoltre, la decisa presa di posizione guerrafondaia di quest’ultimo rispetto ai recenti raid missilistici occidentali in Siria non è proprio un ottimo biglietto da visita per un sinistra che si vorrebbe alternativa, ma che se seguisse l’orientamento del socialista francese, potrebbe definirsi più “imperiale” che “alternativa”.

L’uomo che è stato punito stanotte per aver violato, usando le armi chimiche contro il suo popolo, una norma universale dell’ordine internazionale, non è solo il nemico dei siriani. È anche nostro”, aveva dichiarato Hamon il giorno dopo i raid in Siria. Continuando:Siamo lieti che Emmanuel Macron finalmente lo riconosca. Anche unilaterale, un colpo mirato, proporzionato, chiaro nelle sue intenzioni, pone un limite salutare”.

Una altra difficolta viene dai “verdi” francesi, che avevano sostenuto proprio Hamon nelle recenti elezioni presidenziali, una scelta che non ha assolutamente pagato in termini di consenso elettorale.

Come riporta, Mediapart in un recente articolo-intervista di Pauline Graulle sul dibattito interno all’importante formazione politica ecologista di Yannik Jannot, eurodeputato verde ed ex candidato alle presidenziali prima di ritirarsi in favore di Hamon, dall’eloquente titolo “Perché non fare campagna per noi stessi?”:

Si oppongono due linee: “la direzione attuale, il premier David Cormand, difende l’ipotesi di un accordo con Génération.s”, mentre Yannick rifiuta un accordo con Benoit Hamon “e si batte affinché il partito conduca una lista autonoma di cui potrebbe prendere la testa”.

Per la giornalista, la formazione ecologista si trova di fronte ad un dilemma tra un possibile successo elettorale che la porterebbe ad scomparire come organizzazione indipendente, mentre se mantiene una candidatura autonoma di fronte a Génération.s, corre il rischio di un magro risultato elettorale che la marginalizzerebbe a lungo.

È chiaro che la battaglia per la configurazione dei prossimi schieramenti alle Europee esce sempre più “dall’ordinaria amministrazione”, ma qualifica sempre più i soggetti coinvolti rispetto alle scelte politiche di fondo anche sul piano nazionale.

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