Washington esige che Mosca rimetta immediatamente in libertà il regista ucraino Oleg Sentsov, detenuto dal 2015 in un carcere russo e in sciopero della fame dallo scorso 14 maggio. Gli USA si dicono “profondamente preoccupati del peggioramento delle sue condizioni” ed esigono “che la Russia liberi lui e tutti i cittadini ucraini detenuti illegalmente in Russia e nella penisola di Crimea”. Lo scorso 9 agosto l’OSCE aveva chiesto alla Russia la liberazione di Sentsov e il giorno seguente dalla UE era giunta la richiesta di prestargli la necessaria assistenza sanitaria.
Il 22 agosto, anche l’italico “quotidiano comunista” sembra farsi interprete delle preoccupazioni euroatlantiche, ricordando come Emmanuel Macron abbia “personalmente contattato Vladimir Putin per chiedere notizie dello stato di salute di Sentsov” e, oltre al presidente francese, si sia “mobilitato un folto gruppo di registi e intellettuali”; e ancora, “come anche il Festival di Cannes” abbia “rivolto un appello inascoltato a Vladimir Putin”. E poi si ricorda come nel giugno scorso “38 paesi – tra cui la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti – si sono appellati al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres affinché perorasse con Putin la causa di Sentsov e di decine di altri detenuti ucraini”. Incidentalmente, ricordiamo come, lo scorso maggio, quel medesimo Festival di Cannes avesse premiato un altro regista ucraino, Sergei Loznitsa, per il film “Donbass”, autentica beffa e ridicolizzazione delle milizie popolari.
Ora, ci è difficile dare una sicura interpretazione del servizio de il manifesto: lo stile “asettico” pare orientato a dar notizia delle “preoccupazioni” del mondo occidentale per la salute di un detenuto che, a detta del giornale di via Bargoni, sarebbe stato condannato sulla base di “accuse rivoltegli da dei testimoni che hanno poi ritrattato quanto detto al processo, sostenendo che era stato loro estorto sotto tortura”.
Diciamo che, tanto per rimanere informati, è utile anche sapere come UE, OSCE, ONU, Washington, Londra e Parigi prendano a cuore lo stato di salute di un recluso – en passant: condannato per tentati atti terroristici. Ma questi, se commessi su suolo russo, non devono evidentemente essere passibili di arresto – nelle prigioni putiniane.
Qualche dubbio lo solleva la constatazione di come da diverso tempo – quantomeno nei titoli di testa, che attirano l’attenzione del lettore – lo stesso quotidiano non sembri invece dar peso ad altre preoccupazioni: quelle di quanti hanno a cuore, ad esempio, la sorte delle centinaia di civili (non parliamo dei combattenti delle milizie popolari, imprigionati e torturati dai soldati di Kiev) sospettati di simpatie per le Repubbliche popolari del Donbass e imprigionati nelle carceri golpiste. O delle decine e decine di intellettuali, giornalisti e semplici cittadini, arrestati e detenuti nelle prigioni ucraine a partire dal golpe del febbraio 2014, per non parlare dei politici e dei giornalisti assassinati dalle squadre neonaziste.
Non sembra di aver letto servizi, ancorché “asettici”, ad esempio, sul liberale russo, cattedratico di storia, Aleksandr Sytin, che tempo fa, in diretta TV, si era detto dispiaciuto che anche a Donetsk e a Lugansk non si fosse ripetuto un altro “2 maggio 2014”, con le decine di attivisti bruciati vivi dai neonazisti alla Casa dei sindacati di Odessa: nelle Repubbliche popolari, aveva bestemmiato Sytin, oggi se ne starebbero zitti e cheti e non opporrebbero resistenza ai battaglioni neonazisti ucraini!
La “questione internazionale” di Oleg Sentsov e Valdimir Balukh, sembra approntata ad hoc, nel quadro della campagna presidenziale di Petro Porošenko: se Macron e May ne chiedono la liberazione, ciò porterà certamente più voti a Petro, avranno pensato a Kiev! Una eventuale grazia concessa a Sentsov da Vladimir Putin – sull’esempio della vicenda della pulzella del battaglione “Ajdar” Nadežda Savčenko dopo il suo fantomatico sciopero della fame – sarebbe davvero un bel regalo per l’attuale “primo pasticcere” d’Ucraina. Dunque: che ogni portavoce, ogni rivista, ogni quotidiano ne parli a più non posso!
I due, Sentsov e Balukh, sono stati condannati, come ricordava ieri l’altro l’ambasciata russa a Londra, in risposta a una nota britannica circa la loro condanna “per l’opposizione alla illegale annessione della Crimea”, per reati perseguiti pressoché in tutti i paesi, Gran Bretagna compresa. Nello specifico, Sentsov è stato condannato a 20 anni per formazione di cellula terroristica e organizzazione di due attentati; Balukh a 3 anni e mezzo, per porto illegale d’armi. Nella primavera del 2014, il gruppo messo in piedi da Sentsov aveva compiuto due attentati a Simferopoli, quasi sicuramente da mettere in relazione alle attività diversive degli islamisti del medžlis dei tatari di Crimea, il gruppo sponsorizzato dai golpisti ucraini e spalleggiato dai Lupi grigi turchi.
Tornando a il manifesto, non sembra che questo mostri spesso particolare scrupolo per le scorribande fasciste nelle piazze ucraine, da Kiev a Dnepr; per la privazione del diritto di voto a quegli abitanti del Donbass trasferitisi in Ucraina; per il terrorismo contro i civili del Donbass e della Crimea, cui Kiev blocca regolarmente l’erogazione di acqua, energia elettrica e gas; per la crescente eroicizzazione degli ex nazisti: tanto per citare l’ultimo caso, alla vigilia della parata militare del 24 agosto a Kiev, per l’anniversario della “indipendenza”, si inaugurano a Ternopol gli ennesimi monumenti a Nikolaj Arsenic, fondatore dei battaglioni nazisti ucraini “Nachtigall” e “Roland”.
Ci è sfuggita, sul medesimo quotidiano, la notizia a proposito della denuncia ONU sulle violenze commesse da esercito e battaglioni neonazisti nel 2014 contro la popolazione civile di Ilovajsk. Nemmeno ha meritato la stessa attenzione di Sentsov, il fatto che il canale tv ucraino NewsOne ricordi apertamente di come le forze ucraine torturassero e uccidessero (e continuino a farlo) i civili del Donbass, smentendo così le reazioni ufficiali golpiste al summenzionato documento ONU.
Forse, ciò non meritava attenzione, perché la denuncia ONU non parlava di altrettanti atti di violenza da parte delle milizie popolari e, in base al precetto di alcuni redattori di via Bargoni, secondo cui nel conflitto in Donbass, “non ci sono né buoni né cattivi”, allora bisogna soprassedere alla notizia. Non capita spesso di leggere sullo stesso foglio di come si glorifichino a Kiev quegli “eroi” che proclamavano la fede “in una grande Ucraina strettamente legata a Adolf Hitler e al Terzo Reich”. Ci sembra che ignorata sia rimasta anche la testimonianza del reduce delle Forze operative speciali ucraine, tal Aleksandr Medinskij (rifugiato in Finlandia), su come, nell’estate 2015, quelle forze avessero usato sostanze chimiche contro le milizie popolari.
Ma, perché continuare! Se nelle redazioni romane le fonti primarie ed esclusive per le notizie dal “fronte orientale” sono BBC e Novaja Gazeta, sembra quasi tempo sprecato. Ora, attendiamo il momento in cui i media italici prenderanno le difese del “governo crimeano in esilio”, che Porošenko ha intenzione di nominare.
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