Donald Trump ha scritto ieri su twitter che la “Crimea è stata presa dalla Russia durante l'amministrazione Obama. Obama era stato troppo morbido con la Russia?” (Crimea was TAKEN by Russia during the Obama Administration. Was Obama too soft on Russia?). Da parte sua, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer aveva dichiarato che Trump si attende da Mosca la restituzione della Crimea all'Ucraina. In risposta alle parole di Spicer e ricordando le distensive dichiarazioni elettorali di Donald Trump, lo speaker della Duma, Vjačeslav Volodin ha invitato a cessare ogni discussione sull'alienazione della penisola, giudicandola un attacco all'integrità della Russia.
Più pessimista il presidente della Commissione esteri della Duma, Leonid Slutskij, secondo il quale le ultime prese di posizione di Trump a proposito della Crimea destano un certo allarme, quantunque “quel punto di vista corrisponda alle posizioni della stragrande maggioranza dell'establishment politico USA e non ci si sarebbe potuti attendere che Trump le contraddicesse all'inizio del proprio mandato. Le sue dichiarazioni, come una doccia fredda, frenano alcune attese troppo ottimistiche nei confronti” della nuova amministrazione.
Alla richiesta della Casa Bianca di “restituire la Crimea” all'Ucraina, ripetuta all'ONU dalla rappresentante americana Nikky Haley, in continuità con la sua predecessora Samantha Power, Mosca risponde che non è usa “restituire propri territori”.
Arina Tsukanova nota sottilmente su fondsk.ru che Haley ha parlato di restituzione della Crimea, ma non dei suoi abitanti; strano, per la rappresentante di una nazione la cui Costituzione comincia con le parole “Noi, popolo degli Stati Uniti…”. Dunque, scrive Tsukanova, è necessario porsi la domanda se il popolo della Crimea consideri se stesso ucraino o no e la risposta è che dal punto di vista di quel popolo, l'Ucraina ha annesso illegalmente (secondo il diritto internazionale) la Crimea nel 1991 e i vari tentativi dei crimeani di ristabilire la legalità si sono sempre scontrati col rifiuto di Kiev. Se la dichiarazione di “indipendenza” della RSS di Ucraina, nel 1990, comincia con le parole “Esprimendo la volontà del popolo ucraino”, è il caso di ricordare che, all'epoca, la popolazione ucraina di Crimea costituiva meno del 26%. Il 20 gennaio 1991 si tenne il primo referendum per l'istituzione della RSS autonoma di Crimea, continua Tsukanova e, con un'affluenza del 81,37%, il 93,26% dei votanti si pronunciò per la costituzione della penisola quale soggetto autonomo nell'ambito dell'Urss e il Soviet supremo della RSS di Ucraina ratificò il risultato. Il 24 agosto 1991, lo stesso Soviet supremo proclama l'indipendenza ucraina, unilateralmente comprendendo la Crimea e ignorando la legge che prevedeva un apposito referendum degli abitanti della penisola. Il 1 dicembre 1991 Kiev indice un referendum, che non comprende però lo status della Crimea e, per aggirare il reale pericolo che gli abitanti boicottassero in massa la consultazione, si permise di parteciparvi a chiunque si trovasse in quel momento nella penisola.
Già a partire dal 1992 cominciarono le ripetute azioni di protesta per l'autonomia della Crimea, ricorda Tsukanova, cui Kiev rispose con il rinvio del referendum previsto per l'agosto di quell'anno: lo tenne poi due anni dopo, sotto forma di “indagine dell'opinione pubblica”. Nel 1994 fu eletto il primo presidente crimeano, ma già nel 1995 la carica fu abolita, così come la Costituzione della Crimea. Tra il 1998 e i dieci anni successivi, Kiev, pur mirando all'abolizione dell'autonomia, non si è mai decisa al passo finale, di fronte alle proteste di massa degli abitanti. Riducendo artificiosamente la percentuale ufficiale di popolazione russa, Kiev arrivava così al 2012, allorché i nazionalisti di “Svoboda” chiedevano apertamente la fine dell'autonomia della penisola. Il resto è “cronaca”: gli autobus dei manifestanti crimeani anti-majdan, fermati lungo la strada del rientro da Kiev, nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 2014 e presi a bastonate dai gruppi neonazisti – molti finiti all'ospedale, alcuni “dispersi” – e infine il referendum del 16 marzo 2014.
Ma intanto, già da qualche giorno, si spara in prossimità della frontiera con la penisola, nell'area di Čongar, la parte orientale del tombolo che conduce alla Crimea, nella provincia ucraina di Kherson, dove il battaglione islamista del medžlis dei tatari di Crimea sembra taglieggiare la popolazione locale, a colpi di mitra, di morti ammazzati e con l'appoggio di Pravyj Sektor ed elementi dei “Lupi grigi”. Scontri con reparti dello stesso esercito ucraino e, a quanto sembra, addirittura tra gli stessi tatari e i neonazisti per la divisione del bottino ricavato dal blocco dei trasporti verso la penisola.
Nei giorni scorsi, per fermare le azioni del battaglione tataro “Noman Čelebidžikhan”, forze regolari ucraine hanno fatto incursione nel suo accampamento – in cui, per la verità, pare si trovassero pochi tatari e molti islamisti stranieri, anche arabi – rinvenendovi quantitativi di armi dalle scorte del battaglione “Ajdar”, ufficialmente andate perdute, e contrabbandate invece da alti ufficiali ucraini e funzionari della regione di Kherson. Nonostante in passato lo stesso Porošenko avesse promesso all'esponente tataro Refat Čubarov addirittura l'istituzione di una “Autonomia crimeano-tatara”, il battaglione pare non aver rispettato una “equa” divisione del bottino, causando il sorgere di un conflitto tutto interno tra il capo del battaglione Lenur Isljamov e l'esponente tataro e deputato alla Rada, Mustafa Džemilev, il quale, però, nonostante tutto, ha ribadito nei giorni scorsi la convinzione che, presto o tardi, “Mosca sarà costretta a restituire la Crimea all'Ucraina”, se vuole evitare che “il disfacimento della Russia divenga inevitabile”.
Il conflitto interno tataro non è però una novità: sul sito Vzgljad, Mikhail Moškin e Marina Baltačeva ricordano come, già nel settembre scorso, dopo le incursioni di sabotatori ucraini in Crimea, due membri del gruppo di Isljamov arresisi alle guardie di frontiera russe, avessero raccontato come il battaglione intendesse agire non solo contro la Crimea, ma anche contro Kiev.
Secondo Tanai Čolkhanov, esponente islamico e comandante di un reparto delle milizie della DNR, all'origine dello scontro nell'accampamento islamista c'è il fatto che il medžlis pretende da Kiev l'assegnazione del territorio di Čongar prospiciente la Crimea, per dar vita a una sorta di “principato indipendente”, come chiesto dal fondatore del medžlis Džemilev, dall'attuale leader Čubarov e dall'ideatore del blocco della Crimea, Isljamov.
A parere del deputato russo Ruslan Balbek, pare che all'origine degli scontri di Čongar, ci fosse anche la divisione dell'ultima tranche di finanziamenti USA, elargiti poco prima del tentato golpe turco nell'agosto scorso e che, invece di andare a finanziare l'attività del medžlis, come prospettato dall'amministrazione Obama, sarebbero stati spartiti all'interno della cerchia di Džemilev. “Costretta a scegliere tra il ladro Džemilev e l'estremista Isljamov” afferma Balbek, “macchiatosi di saccheggi e soprusi nella regione di Kherson, Kiev avrebbe scelto Džemilev”.
Intanto il governo ucraino ha introdotto misure temporanee d'emergenza per l'acuirsi della crisi energetica, data dal blocco delle forniture di carbone dal Donbass, attuato proprio dai battaglioni nazionalisti che, dallo scorso 25 gennaio, controllano le linee di comunicazione sul confine ucraino con le Repubbliche popolari. Tra le misure adottate dal governo, la riduzione di attività delle centrali di riscaldamento da 1000 a 500 MW, per economizzare il consumo di antracite necessaria al loro funzionamento. Ma, secondo rusvesna.su, le formazioni nazionaliste minacciano di prendere il controllo dell'insieme delle forniture energetiche dell'Ucraina.
Dunque, nulla di nuovo: il solito brigantaggio sulle spalle del popolo ucraino e con il sangue del Donbass.
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