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«Aiutateci ad uscire da quest’inferno, presto!»: manifestazione di migranti in Libia

Ogni tanto sarebbe necessario ricordare – a tutti, noi compresi – di cosa si parla quando si discute di migranti che sbarcano sulle nostre coste o, più spesso, vengono salvati in mare a bordo di barconi fatiscenti. Naturalmente, per far questo bisogna guardare a media non “itagliani”, altrimenti si resta nell’ignoranza più totale.

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Si è svolta recentemente a Tripoli una manifestazione senza precedenti dei migranti. Un gruppo di migranti, per lo più etiopi ed eritrei, ha forzato le porte di un centro di permanenza nel quale erano trattenuti ed ha marciato poi verso la capitale di Tripoli, a una ventina di chilometri a nord, per chiedere aiuto all’ONU e alle ONG per la difesa dei diritti dell’uomo. Sballottati tra i campi di tortura e il centro di detenzione, dal loro arrivo in Libia nel 2015, questi migranti adesso vogliono andare via dalla Libia il più presto possibile.

Il gruppo di migranti ha postato le immagini della manifestazione su Facebook domenica 12 agosto, nella speranza che venissero condivise il più possibile. Aman (pesudonimo), un eritreo di 22 anni, era tra i manifestanti e racconta:

«Eravamo rinchiusi da tre mesi nel centro di permanenza del villaggio di Qasr Ben Ghachir (a 25 km a sud di Tripoli). Alcuni funzionari dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (HCR) sono venuti a farci visita al nostro arrivo, nel maggio scorso. Hanno registrato i nostri nomi, e noi abbiamo chiesto loro di portarci via dalla Libia in tempi brevi. Ma non abbiamo più avuto loro notizie da allora.

Quindi abbiamo forzato le porte del centro di permanenza e abbiamo marciato verso Tripoli. Le forze dell’ordine ci hanno dispersi con spari di avvertimento. Poi abbiamo avviato una serie di trattative con loro e ci hanno promesso che ci avrebbero aiutati a lasciare il Paese.

Siamo un gruppo di circa 120 persone e ci sono molte donne e molti bambini con noi. Siamo arrivati in Libia nel 2015 nella speranza di raggiungere l’Europa via mare.

Ma siamo stati rapiti da gruppi criminali e sequestrati in un hangar nella città di Beni Oualid. I rapitori ci vendevano a sedicenti trafficanti che ci torturavano con l’elettricità e inviavano video alle nostre famiglie e ai nostri amici per estorcere loro denaro.

Il riscatto poteva andare dai 1.000 ai 6.000 dollari. Il peggio è che una volta ricevuto il riscatto i sequestratori si rifiutavano di liberarci.

Siamo stati liberati dalle forze dell’ordine libiche, lo scorso maggio, e siamo stati trasferiti nel centro di permanenza di Qasr Ben Ghachir. Ma seppure si tratti di un centro ufficiale, non ci fidiamo più dei libici.

Chiunque qui può rapire, torturare e ammazzare. Vogliamo solo andare via da questo inferno il prima possibile, poco ci importa della destinazione.
È per questo che sollecitiamo l’HCR ad accelerare le procedure per la nostra evacuazione».

Il gruppo di migranti è stato trasferito giovedì 16 agosto in un altro centro, situato vicino la sede del ministero degli Interni a Tripoli.

Molti eritrei ogni anno fuggono dal loro Pese per sfuggire al regime dittatoriale. Essi beneficiano in genere dello status di rifugiato dall’HCR, status che li protegge dal rimpatrio nel Paese di origine.

Un portavoce dell’HCR, Paula Barrachina Esteban, sostiene che l’agenzia dell’ONU segue molto da vicino il dossier di questi migranti. Spiega:

«Stiamo cercando delle soluzioni per queste persone e per tutti i rifugiati attualmente bloccati in Libia.

Quando possibile essi vengono ricollocati in Paesi terzi, ma le soluzioni al momento sono molto limitate e variano da caso a caso.

Abbiamo lanciato un appello a tutti i Paesi perché offrano posti per l’accoglienza dei rifugiati in un Paese sicuro. Ad oggi, 12 Stati hanno proposto in totale 3.886 posti per accogliere i rifugiati attualmente in Libia e in Niger.
Ma ne occorrono di più.
Nel 2018, in Libia, sono stati registrati dall’HCR quasi 55.000 richiedenti asilo.

L’alternativa consiste nel trasferire queste persone in Niger. Nell’ambito di un sistema di trasferimento emergenziale, i richiedenti asilo vengono accolti in un campo gestito dall’HCR a Niamey, dove le richieste vengono trattate individualmente.

Vengono sistemati temporaneamente nel campo in attesa che un Paese terzo accetti di accoglierli. Il problema è che il campo è attualmente quasi al completo. Stiamo aspettando che si liberino dei posti. Dopo l’avvio dell’operazione di evacuazione dalla Libia a fine 2017, sono state trasferite in Niger complessivamente 1.536 persone. Attualmente la capacità di accoglienza residuale a Niamey è di 335 persone.»

Secondo un rapporto dell’HCR pubblicato nel giugno 2018, il numero di rifugiati in attesa di sistemazione in Paesi terzi arriverebbe a 1,4milioni nel 2019 mentre soltanto 75.000 mila persone hanno beneficiato di una ricollocazione nel 2017.

Les Observateur de France 24, 22 agosto 2018

-  Link all’articolo originale (FRA)

Traduzione a cura di: Lucia Angileri, Marianna De Lellis

* da https://www.meltingpot.org/

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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1 Commento


  • Manlio Padovan

    Ciò che mi addolora, ma non mi meraviglia più di tanto ben conoscendo la natura ipocrita e falsa della cultura occidentale, è che se si parla di migranti mai che si parli dell’Africa e della necessità di rendere all’Africa e agli africanoi ciò che abbiamo rubato e continuiamo a rubare. Almeno a domostrare la buona volontà di fare qualcosa in quel senso ed in quel continente.
    Ecco alcune mie riflessioni che spero si considerino utili:

    Riflessioni sul degrado (testo ridotto)

    Nella occasione della rilettura di libri già letti in passato, sono a proporvi alcune riflessioni che mi sono state sollecitate dalla rilettura del libro Africa di John Reader. Un libro veramente eccezionale sul quel continente e la sua gente che sto rileggendo con passione su suggerimento della situazione sociale e politica del momento. Un libro, però, pur nel momento sociale e politico che tutti viviamo ogni giorno, che mai è stato citato come fonte di importanti informazioni. Un libro, Africa di John Reader, che tratta del continente africano dalla sua fondazione geologica fino alle moderne vicissitudini sociali e politiche, che si presta ad essere usato come manuale di consultazione ma anche per una lettura continua; caratterizzato da una scrittura corretta, ordinata e alla portata di chiunque: insomma un vero libro per la integrazione culturale delle masse popolari e forse è proprio per questo che non se ne parla oggi. Ma nemmeno di altri libri con la stessa finalità mi è stato possibile avere notizia dalla stampa quotidiana a dimostrazione che dei migranti e delle cause che li rendono tali, a noi non ce ne frega nulla; così come alla nostra cultura e al nostro sistema politico. A noi non interessa conoscere la mentalità, la civiltà, la Storia dei migranti. Ho già scritto altrove che il mondo occidentale è da sempre fondamentalmente ipocrita e falso a motivo del fatto che lo è la cultura sulla quale esso si fonda ed il suo tanto sbandierato umanesimo è solo la foglia di fico sotto la quale nasconde i misfatti più imperdonabili. Altro che civiltà superiore! Gli africani frequentarono le città del vecchio continente, in modo assolutamente pacifico, già molto tempo prima che noi andassimo in Africa: la prima visita in Italia di un etiope avvenne nel 1306, il primo esploratore europeo giunse in Etiopia solo nel 1407 e fu un italiano, certo Pietro Rombulo.
    I neri in Africa furono maestri nello scoraggiare i comportamenti aggressivi, le avidità, le ostilità fra etnie. “Non ci sono tradizioni di guerra devastante fra i popoli dediti all’agricoltura mista nell’Africa subsahariana prima del XIX secolo.” Alla fine dell’Ottocento, con l’Africa preda di ambizioni colonialistiche delle potenze europee, compare la guerra.

    Tanto meno ci interessa sapere, presuntuosi ed egoisti come siamo, se dalla cultura e dalla Storia dei popoli oggi migranti si possa imparare qualcosa di utile per noi.
    Per l’oggi potremmo imparare, per esempio, che: “La storia dei popoli che sfruttarono le risorse del delta interno del Niger, in Africa occidentale, suggeriscono che una alternativa ci sia: un modello di urbanizzazione che non solo si rivela unico, indigeno e africano, ma che toglie credito all’inveterata interpretazione occidentale della storia africana.” Infatti: “ I miti e le leggende del delta sono vere e proprie «allegorie ecologiche», che organizzano la realtà dell’esistenza…in sistemi di credenze…I gruppi si aggregano per scelta. Il passaggio dalla società rurale alla società urbana non comportò una stratificazione gerarchica e il controllo da parte di una minoranza.” (grassetto e sottolineatura sono una mia iniziativa ndr) Altro che il nostro furfantesco ed idiota idealismo! Una civiltà, quella del delta interno del Niger, che durò ben 1600 anni.

    Ci mettemmo in mezzo noi e con i colonizzatori, che conquistarono territori e rapinarono materie prime, mandammo i missionari col compito di portare colà la buona novella e convertirli al nostro dio. E in effetti, sintetizza in modo simpatico e rigoroso Massimo Fini, i neri africani non avevano un Dio unico e, spesso, nemmeno un pantheon di dei; la loro concezione era che tutto, a cominciare dalla natura e dalla stessa materia, è spirituale e magico. Ma noi occidentali, che siamo riusciti nell’impresa di materializzare anche l’uomo ci siamo ritenuti in dovere, così come gli islamici, di imporre la nostra totalitaria e cupa religione, con un unico Dio, punitivo e vendicativo, concezioni immacolate, crocifissioni orripilanti, resurrezioni della carne (in che età, please?) tutte cose che per gli africani hanno un senso come per noi i loro riti woodoo.” (IL GAZZETTINO del 23/4/04) E al seguito dei missionari arrivò il colonialismo economico che affamò l’Africa con l’omologare la sua gente alle nostre abitudini e renderla schiava dei nostri mercati. Di conseguenza per risolvere il problema dei migranti, l’unico modo serio è di rendere all’Africa e agli africani ciò che all’Africa e agli africani abbiamo rubato e continuiamo a rubare, e di smetterla di portare guerre in giro per il mondo. Tutto ciò che si sta facendo è solo un continuo sbrodolamento di parole con apparenti conflitti tra istituzioni che impenitenti buffoni, a destra e a sinistra, accompagnano a lacrime di coccodrillo, a sinistra e a destra, pur sapendo bene che nella Storia hanno pagato sempre e solo i poveracci, i più deboli…buffoni che, a destra e a sinistra, non intendono risolvere il problema perché a loro interessa di più mantenere la struttura economica che li conserva.
    “Se l’Europa non si fosse intromessa, forse l’Africa avrebbe potuto crescere sviluppando i talenti indigeni e avrebbe potuto trovare una strada propria, ispirata dall’interno invece che da esempi venuti dall’esterno.” L’Africa fu la culla dell’umanità e “senza influenze esterne, l’Africa avrebbe forse sviluppato un modello sociale superiore a quello dell’attuale civiltà e della sua cultura tecnologica. In effetti, l’arte di vivere pacificamente in piccole società senza Stato,…in armonia con l’ambiente,…diffusa in Africa prima della penetrazione di influssi esterni, è un contributo tutto africano alla storia umana.”

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